Nei giorni dopo Natale i pronto soccorso del Lazio sono stati presi letteralmente d'assalto.
Non a caso in Regione qualcuno parla «di tempesta perfetta» e mette assieme una serie di circostanze diverse tra loro, che - unite - hanno finito per riportare i reparti di medicina di urgenza nel caos. Sul banco degli imputati finiscono, in primo luogo, le cliniche private convenzionate che non hanno messo a disposizione i posti letto necessari per evitare l'effetto imbuto e per facilitare il trasferimento dei pazienti dai pronto soccorso alle corsie di medicina. Ma si guarda anche alla scelta della quasi totalità dei medici di base e dei pediatri di libera scelta, che non hanno lavorato durante le feste. Una decisione che ha finito per eliminare quel filtro necessario per evitare che i pazienti si presentino in ospedale anche per patologie lievi. In questo scenario, poi, non va dimenticata la nuova recrudescenza dei casi di Covid (sono ormai 1.500 le nuove infezioni giornaliere) e di influenza, acuiti dalle basse temperature.
Come detto, la pressione sui pronto soccorso è tornata sopra la soglia di guardia. Nei giorni precedenti al Natale i pazienti in attesa di essere curati erano in media tra i 300 e i 400. Invece, con l'inizio delle festività, i numeri sono quasi triplicati. Soprattutto, sono ripresi i casi di ambulanze bloccate davanti ai principali ospedali della Regione. Guardando alla situazione nelle strutture di Roma, hanno registrato un forte afflusso il Sant'Andrea a Nord della Capitale, il Policlinico Umberto I e il San Camillo nelle aree più centrali, così come i nosocomi del quadrante Est (il Pertini, il Policlinico Tor Vergata, il Vannini o il Casilino) che scontano ancora la chiusura del San Giovanni Evangelista di Tivoli, dopo l'incendio scoppiato nella notte tra l'8 e il 9 dicembre. Da notare poi un alto numero di accessi anche nei due presidi pediatrici (quello del Gianicolo e quello di Palidoro) del Bambino Gesù: in questi giorni circa 500 tra neonati e ragazzini si presentano ai due Dea, accompagnati dai loro genitori per essere curati per malattie respiratorie o per il Covid.