Per chi l'ha visto, è difficile dimenticare il film di Milos Forman, Qualcuno volò sul nido del cuculo, del 1975, Jack Nicholson protagonista. E oggi che Alessandro Gassmann ripropone a teatro, come regista, quest'opera-cult, si illumina di nuovo una delle più forti narrazioni sul tema dell'emarginazione e della privazione della libertà che sia mai stata scritta.
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La più rilevante differenza tra il film e lo spettacolo?
«Sono opere autonome. I più giovani non l'hanno mai visto eppure finora hanno capito tutto, anche perché uso la tecnologia. Partiamo dal testo teatrale che Dale Wasserman realizzò a partire dal romanzo di Ken Kesey».
La malattia mentale è l'ultimo dei tabù?
«Lo è. Prima di Qualcuno volò sul nido del cuculo avevo messo in scena La pazza della porta accanto, su Alda Merini e i suoi ricoveri psichiatrici. Può essere un inferno».
Conosce persone a lei vicine che vivono in questo inferno?
«Conosco la matta del mio quartiere. Ho tentato più volte ad avvicinarla. È sola e abbandonata».
La ricordiamo nel suo debutto teatrale: Affabulazione di Pasolini. Era il 1984 e suo padre Vittorio la volle con sé nel ruolo del figlio. Come si sentiva con tutto quel biondo tra i capelli?
«Mi ricordo il terrore della tournée, il disagio dell'andare in giro con i capelli gialli. Al tempo stesso, è lì che ho pensato che forse avrei potuto fare veramente l'attore, come desiderava mio padre. Anche se continuo a pensare che non sia il mio mestiere».
Cosa avrebbe voluto fare?
«L'ingegnere agrario. La mia ossessione è la questione ambientale. Se avessi studiato, oggi sarei in grado di capire da solo quello che sta succedendo senza interrogare sempre gli scienziati».
È vero che ha mandato il suo libro Io e i #Green Heroes (Piemme) a Giorgia Meloni?
«L'ho fatto prima che vincesse le elezioni. La notizia è che lei mi ha risposto, dicendosi aperta all'ascolto. Voglio precisare che non condivido niente del pensiero politico di Giorgia Meloni. Ma qui è in ballo la sopravvivenza della specie umana».
Tra tv e teatro, lei sembra aver stretto un'alleanza di ferro con Maurizio de Giovanni. Cosa vi lega?
«Maurizio è la penna. Poi a me vengono alcune immagini e lui a volte le preferisce alle sue. Ne I bastardi di Pizzofalcone (stiamo girando la quarta stagione) faccio solo l'attore, ma in altri casi posso esprimermi come regista. Dal suo testo Il silenzio grande ho realizzato uno spettacolo e poi il film».
Il film è migliore. Non trova?
«Sono d'accordo. Quel tipo di suspense non si addice al palcoscenico».
Teatro Sala Umberto, via della Mercede 50. Da domani (ore 21).