Renzi-Calenda, che succede ora? Dalla crisi del Pd al dopo Berlusconi, gli obiettivi dei due leader

La dichiarazione di Calenda è il marchio su questo flop: «Il partito unico tra Azione e Italia Viva non si farà più».

Giovedì 13 Aprile 2023 di Mario Ajello
Renzi-Calenda, che succede ora? Dalla crisi del Pd al dopo Berlusconi, gli obiettivi dei due leader

S’è mai visto un divorzio senza matrimonio? E s’ mai vista una morte (politica) più annunciata, più ovvia e più naturale di quella della coppia, scoppiata da sempre, formata da Calenda e Renzi? Tutto è andato è chiaro che sarebbe andato e la dichiarazione di Calenda è il marchio su questo flop: «Il partito unico tra Azione e Italia Viva non si farà più».

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La crisi

Di chi è la colpa? Di Matteo, dice Carlo.

Di Carlo, assicura Matteo attraverso portavoce più o meno autorizzati. Il siparietto delle liti tra i due stava durando troppo, e l’avanspettacolo Terzo Polo stava abbassando la credibilità di entrambi gli attori e confondendo i pochi spettatori. Meglio abbassare il sipario, dunque: e così è stato stamane. Sì, «il partito non lo riusciremo a fare, perché non lo vuole fare Renzi», parola di Calenda. E perché Renzi non vuole farlo? «Perché vuole tenersi soldi e partito di Italia Viva», incalza Calenda. Macché, sospettano, i renziani: la verità è che il leader di Azione aveva già deciso di rompere e per un motivo: «Il timore di perdere il congresso se si fosse candidato Luigi Marattin come segretario contro di lui o anche Lella Paita». Mentre Italia Viva, assicurano gli italovivisti, non è affatto vero che non vuole sciogliersi, anzi «abbiamo detto che il 30 ottobre il nostro partito finisce chiunque vinca il congresso. C’è la data di scadenza come lo yogurt...».

 

Questioni politiche, certo (compreso il flop alle regionali in Friuli, dove Renzi voleva andare con Fedriga e il centrodestra,  Calenda invece no ed è arrivata la sconfitta), ma anche questioni personali tra due caratteri ipertrofici incapaci di convivere pacificamente e di collaborare senza residui polemici. Carlo ha un sottofondo tecnocratico, Matteo una indiscutibile capacità di manovra politica di Palazzo: personalità e stili opposti. E ora prospettive diverse: Calenda spera nello smottamento del Pd, con moderati e riformisti irriducibili all’ideologia Schlein che si avvicinano ad Azione e rafforzano finalmente quell’area di mezzo; Renzi punta sulla successione a Berlusconi, ovvero la fine del potere di Silvio significherà finalmente avere campo libero in quell’area politica dove moltissimi - e forse lo stesso Cavaliere - considerano Matteo il naturale successore di Silvio.

Ma Renzi in prima persona si farà carico del post-berlusconismo oppure - come gira voce - punterà su un volto femminile e non sarebbe tanto Maria Elena Boschi quanto magari Mara Carfagna, che dal partito azzurro deriva, la persona giusta ma intanto va strappata ad Azione cioè a Calenda? Intanto a nessuno è sfuggito che come direttore responsabile del Riformista, di cui lui è direttore editoriale, Renzi ha scelto Andrea Ruggieri che viene da Forza Italia e resta un berlusconiano doc. E come terreno principale della propria azione politica Matteo ha da tempo individuato la giustizia, il garantismo, la lotta contro lo strapotere togato, e dunque temi iper-berlusconiani a cui l’elettorato azzurro è molto sensibile. I più intimi del Cavaliere riferiscono infatti che anche negli ultimissimi tempi, non facili per motivi di salute, Berlusconi elogia Renzi e ripete che «di lui mi piace tutto tranne che è collocato a sinistra e non riesco a capire come fa». E tutti gli attacchi dei renziani purosangue - come Roberto Giachetti - contro le parole, giudicate irrispettose, di Calenda nei confronti del Cavaliere malato?    

Siamo alla fase degli scenari su scenari, ma l’unico scenario certo è che il Terzo Polo è finito prima ancora di cominciare. Ed è finito sotto i colpi delle batoste elettorali, quelle che Renzi anche se mai lo ha detto troppo esplicitamente considera dovute ad errori di Calenda nelle alleanze. Del Friuli s’è detto, ma anche nel Lazio - dove Calenda ha voluto l’alleanza con D’Amato e con il Pd - il Terzo Polo è andato male, per non dire della Lombardia: le nozze con la Moratti sono state fallimentari. 

Non solo. Nell’esplosione annunciatissima della coppia già da subito scoppiata hanno pesato i soldi. Cioè il nodo della comunione dei beni. La lite sul denaro ha contato quasi più delle beghe politiche e di quelle personali-caratteriali. In ballo svariati milioni di euro. A cominciare da quelli che Azione e Italia viva raccolgono in proprio tramite il 2xMille. Calenda, con l’avvio del cantiere centrista, avrebbe voluto in cassa tutti i soldi e subito. Renzi invece schiacciava sul freno. Della serie: se ne parla a cose fatte, dopo la celebrazione del congresso e dopo lo scioglimento dei due partiti. Dunque dal 2024 in poi. Su questo, è saltato tutto. E sul dilemma: scioglimento lento dei due partiti (come voleva Renzi) o scioglimento rapido (come voleva Calenda)? Si è deciso lo scioglimento dell’unione prima che l’unione venisse al mondo. Ma era chiaro che sarebbe finita così, perché gli “azionisti” non si sono mai fidati di Renzi (pensa a fare soldi in giro per il mondo, questa l’accusa) e i dirigenti renziani non hanno mai sopportato gli ultimatum calendiani («Voleva addirittura vietarci di fare la Leopolda, ma è matto Carletto?», dicono in queste ore in Italia Viva) e insomma sospetti continui, inimicizie costanti, incomunicabilità totale («Renzi non viene neppure alle riunioni», parola di Calenda, «perché ha sempre altro da fare»). Matteo sostiene di aver dato risposte su tutto: soldi, leadership, attività di conferenziere globale, trasparenza sul percorso del partito comune, sul fatto che Il Riformista di cui è diventato direttore a sorpresa («Mi ha avvertito 15 minuti prima di ufficializzare la cosa», lamenta Calenda) non avrebbe interferito con la vita del nuovo partito ma sarebbe stato caso mai uno stimolo. Ma niente: il matrimonio non doveva farsi e non si farà. 

Il problema è che il progetto calendian-renziano non ha finora dimostrato grande appeal, grandi adesioni non sono arrivate e soprattutto il Pd versione radicale intorno a Schlein sta reggendo al netto dei mal di pancia dei cattolici ma al Nazareno dicono: «Vogliano andare via? E dove vanno? Da Calenda che non ha capito neanche lui dove vuole andare? O da Renzi, così se li mangi?», se la ridono nelle stanze della segreteria. Ma anche a Palazzo Chigi si guarda all’esplosione del Terzo Polo con un certo gusto: quello di chi si sente forte e non ha avuto finora il bisogno di tenere in grande considerazione questa area politica di mezzo che nella nuova tendenza al rafforzamento del bipolarismo è rimasto spiazzato. Il prossimo tornante sarà quello delle elezioni Europee del 2024 dove ogni partito correrà da solo (c’è il proporzionale) e chissà se il partito di Renzi si chiamerà Forza Italia Viva ossia già sarà alla testa del berlusconismo del futuro prossimo.

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Ultimo aggiornamento: 19:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA