Premierato, le modifiche: c’è il limite di due mandati e in caso di sfiducia si torna alle urne. Il nuovo testo

Il messaggio alla Lega sul caso Zaia: "No al premio del 55% in Costituzione"

Lunedì 29 Gennaio 2024 di Francesco Bechis
Premierato, c’è il limite di due mandati

Un premierato forte, sì, ma a tempo determinato.

Per governare al riparo da trame di palazzo e cambi di casacca. Senza però mettere radici a Palazzo Chigi. È quasi pronta la “madre di tutte le riforme” di Giorgia Meloni e sarà molto diversa da come è stata presentata. Tra le novità di peso c’è una sorpresa: la previsione di un limite massimo di due mandati consecutivi per il premier che sarà eletto direttamente dal popolo. Dieci anni: poi il capo del governo dovrà fare le valigie e lasciare il posto a qualcun altro. 

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IL TETTO

È quanto prevede il pacchetto di emendamenti di Fratelli d’Italia visionato dal Messaggero e al centro di una riunione di maggioranza questa mattina. Ma non è l’unica novità. Il fascicolo, che ha avuto il via libera della stessa premier in una riunione insieme ai capigruppo di FdI e al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, riscrive un pezzo importante della riforma-bandiera della destra al governo. Reinserisce la norma del “simul stabunt simul cadent”: se il premier perde la fiducia delle aule il governo cade e si torna a votare. E poi ancora, sbianchetta dal testo iniziale la previsione di un premio di maggioranza del 55 per cento inserito in Costituzione: il nuovo testo prevede un premio ma senza quantificarlo. 
Ma andiamo con ordine. Una grande opera di equilibrismo, questo è il premierato-bis partorito in una sequela di riunioni tra Palazzo Chigi e la pattuglia di FdI al Senato, dove la riforma è incardinata. Un compromesso che tiene conto dei rilievi del Quirinale e cerca un punto di caduta con gli alleati, Lega e Forza Italia. Sorprende il tetto ai due mandati per il premier perché era stata la stessa Meloni durante la conferenza stampa di inizio anno a mostrarsi scettica a riguardo: «Non lo ritengo necessario». Alla fine però il tetto ci sarà. Un messaggio per rassicurare il Colle, spiegano fonti di governo, soprattutto dopo l’eliminazione del “doppio premier” che davvero trasforma la riforma targata Meloni in un premierato “forte”, con un premier in grado di tenere sulle spine maggioranza e opposizione: se il Parlamento gli toglie la fiducia, si torna al voto. Se invece si dimette volontariamente (come fece Renzi nel 2016), o in caso di impedimento per motivi di salute, il presidente della Repubblica può nominare un secondo premier, «un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto». Addio dunque a pratiche assai consumate della storia repubblicana, dalla caccia ai “responsabili” in aula ai governissimi di larghe intese. Ma c’è anche un segnale alla Lega, nel tetto ai mandati che infine ha convinto Meloni. Se il presidente del Consiglio non può restare in carica più di due volte, come potrebbero mai farlo i governatori delle Regioni? Un preavviso a Matteo Salvini: le possibilità di modificare la legge sui due mandati dei governatori, la grande battaglia leghista per permettere a Luca Zaia di ricandidarsi in Veneto nel 2025, sono ormai ridotte al lumicino. Torniamo al testo. Il presidente del Consiglio, si legge nella bozza di riforma, è eletto «a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni, per non più di due legislature consecutive elevate a tre in caso di scioglimento anticipato delle Camere anteriormente all’ultimo anno di legislatura». C’è dunque un’eccezione alla regola: se il governo cade prima della fine della seconda legislatura, il premier può ricandidarsi un’altra volta alle urne. In casi eccezionali insomma si potrà restare a Palazzo Chigi fino a quattordici anni di fila: pari a due mandati consecutivi di un presidente della Repubblica. Dei ritocchi sono stati avvisati Salvini e Tajani, anche se non è chiaro se gli alleati della premier abbiano dato il via libera. Oggi i capigruppo di maggioranza cercheranno la quadra a Palazzo Madama. Di certo dalla trattativa uscirà un premierato assai diverso da quello licenziato dal Consiglio dei ministri in autunno.

L’ASSIST AL COLLE

Per fugare le accuse di voler azzoppare i poteri del Quirinale, ad esempio, il partito di via della Scrofa ha riscritto l’articolo sulla nomina dei ministri. Se la legge vedrà la luce, il Capo dello Stato non solo potrà nominare ma anche revocare i singoli ministri. Si cammina sul filo, in attesa di sondare le reazioni del Colle al premierato 2.0. E le accortezze non finiscono qui. Complici le critiche piovute dai costituzionalisti convocati nel ciclo di audizioni alla Camera, il governo ha deciso infine di togliere dalla riforma la previsione di un premio di maggioranza del 55 per cento dei seggi. Un’anomalia, hanno fatto notare i giuristi quasi all’unisono. Sicché il nuovo testo sarà più generico: prevederà «un premio, assegnato su base nazionale, che superata una soglia minima garantisca almeno la maggioranza assoluta in ciascuna delle due Camere e ai candidati collegati». Della soglia minima di voti e del premio dovrà occuparsi la legge elettorale. 
Questi i ritocchi alla riforma. Un premierato a tempo. Governare stanca, anche Meloni. È lei la prima a scherzarci su. «Giorgia, altri vent’anni!» le ha gridato un militante alla festa di Atreju. E la premier ha risposto con un sospiro: «Ragazzi, non esageriamo». 

Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 11:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA