Pensioni, rivalutazione da 600 euro e conferma di quota 103. Il piano del premier Meloni

Il premier alla prova della Manovra: priorità al lavoro e niente “bandierine”

Sabato 26 Agosto 2023 di Francesco Malfetano
Pensioni, rivalutazione da 600 euro e conferma di quota 103. Il piano del premier Meloni

Il foglio per ora è candido. Eppure giocoforza tra palazzo Chigi e via XX Settembre c’è chi la Legge di Bilancio sta iniziando quantomeno a tracciarla a matita. Il tratto è guidato da ben tre direttrici (lavoro, redditi bassi e natalità) ma una sola grande certezza: lo spazio per piantare le bandierine dei partiti è quasi inesistente. Tant’è che la premier Giorgia Meloni - tornata ieri dalle ferie a Roma, «al lavoro per costruire un’Italia che torni a pensare in grande», come testimoniato da una foto postata sui suoi canali social - ha già avvisato gli alleati di governo.

Specie per quanto riguarda l’esosa voce delle pensioni. 

Che si parli di Quota 41 cara alla Lega o della rivalutazione delle pensioni minime a 700 euro considerata identitaria da Forza Italia, i 40 miliardi di euro necessari per accontentare tutti i desiderata recapitati fino a questo momento dai ministeri sulla scrivania di Giancarlo Giorgetti semplicemente non ci sono. Eppure, spiega chi sta seguendo da molto vicino il dossier della Legge di Bilancio, a differenza di altre richieste sul fronte previdenziale la porta oggi non può considerarsi del tutto chiusa. Anzi. Si tratta.

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LE PENSIONI

Forse anche perché tutti consapevoli che i 18 milioni di pensionati italiani rappresentano una fetta consistente di coloro che si recheranno alle urne il prossimo giugno per le elezioni europee. Ai vertici dei partiti di maggioranza quindi, si fanno rapidi i conti. Se l’agognato superamento della legge Fornero e l’approdo a Quota 41 (l’uscita dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi e senza vincolo di età) oggi sono ancora una chimera, non lo è invece la conferma delle misure esistenti. Ovvero di Opzione donna, Ape sociale e - soprattutto - Quota 103. 

Idem per quanto riguarda l’intento rivalutativo dei forzisti, anche se declinato in tono minore. Un aumento di duecento euro rispetto ai 500 attuali è forse troppo, ma un assegno minimo a 600 potrebbe essere sostenibile per le tasche statali. «Per i due pacchetti servono circa 2 miliardi» ragionano, affinando una proposta che con buona probabilità non ha più le sembianze dell’irricevibilità per Giorgetti. Il ministro però, come Meloni, resta cauto. 

In questa fase in cui la cassa è tutta da riempire, prendere impegni di qualsiasi tipo non può essere considerata una buona idea. Specie perché - e su questo concordano completamente anche i vicepremier e leader di maggioranza Antonio Tajani e Matteo Salvini - la vera priorità resta il rinnovo del taglio del cuneo fiscale. La proroga però costa da sola circa 9 miliardi di euro, quasi quanto il tesoretto oggi disponibile per tutta la manovra. Il salvadanaio infatti, neppure sfiora i 10 miliardi tra quanto emerso dall’ultimo Def (4 miliardi), dalla tassa sugli extra-profitti (2,5), dai tagli alla spesa (1,5) e dalla lotta all’evasione (1,4). 

LE RISORSE

Anche se si guarda con fiducia al calo del prezzo del gas (e alla minore spesa per i sostegni alle bollette) e a quanto inutilizzato per l’assegno unico, per ora all’appello - stringendo non poco la cinghia - si stima manchino 14-16 miliardi. Risorse necessarie non solo per affrontare il capitolo pensioni ma anche per prorogare gli sgravi su premi di produttività fino a 3mila euro e sui fringe benefit (circa 1,5 miliardi), per l’adeguamento dei contratti dei sanitari e il rifinanziamento del fondo (almeno 2,5) o per tutte quelle spese obbligatorie che vanno dalle missioni internazionali alle indennità di vacanza per la Pa e valgono circa 6 miliardi. Non proprio briciole, su cui si inizierà a ragionare insieme non tanto al Consiglio dei ministri che si terrà lunedì a palazzo Chigi, quanto al vertice di maggioranza che il 4 settembre riunirà accanto a Salvini e Tajani anche i rispettivi capigruppo. Uno snodo cruciale in vista della prima tappa di fine settembre (andrà presentata la nota di aggiornamento del Def) a cui c’è chi ipotizza di presentarsi con una ricetta quantomeno rischiosa. E cioè, nell’ultimo anno di deroga alle norme di bilancio europee e prima della redazione del nuovo Patto di Stabilità, ricorrere alla leva del deficit. Una suggestione che però non alletta affatto i mercati. Figurarsi gli alleati europei alla vigilia della nascita di un nuovo esecutivo a Bruxelles. 

Ultimo aggiornamento: 13:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA