Berlusconi, l'ex ministro Giuliano Urbani: «Quel comizio del 1994 davanti a 10.000 persone: mi vietò di usare parole in inglese. Decisivo il nostro anticomunismo»

Il professore di Scienza politica alla Bocconi che mostrò i sondaggi vincenti a Berlusconi prima della fondazione di Forza Italia

Lunedì 12 Giugno 2023 di Stefania Piras
Berlusconi morto, Urbani: «Io prof universitario nel 94 davanti a 10mila persone: mi vietò di usare parole in inglese e complicate. Noi coraggiosi e anticomunisti»

«Se penso ai professori di storia linguistica che oggi usano "la discesa in campo" come espressione standard mi sembrano pappagalli ammaestrati. È una formula che si è inventato lui con parole prese dal lessico calcistico». Perché - spiega Giuliano Urbani, professore di scienza politica alla Bocconi che contribuì a fondare Forza Italia, mostrò i sondaggi favorevoli al Cav nel 1993, e poi è stato ministro e vicepresidente della Bicamerale per Riforme istituzionali nel 1997  -  l'innovazione di Berlusconi sta tutta qui: «è arrivato alle persone prima che ci arrivassero gli osservatori politici, gli addetti ai lavori». 

Cioè?

«Non prendi il 20% se non ti rivolgi a tutti, se non parli a tutti».

E lui nel 1994 sbaragliò gli avversari con una formula completamente nuova. Ci racconta il primo incontro ad Arcore?

«Risale alla fine di giugno del 1993.

A quell'epoca mi occupavo di sondaggi per Il Sole 24 ore. Ero a cena a Milano con l'avvocato Agnelli, mi chiese se avevo parlato con Berlusconi. Risposi che no, non lo conoscevo. Il giorno dopo mi chiama la segretaria di Berlusconi e mi invita a cena, ad Arcore».

E lì cosa le disse?

«Mi disse che non si sentiva di difendere il futuro del Paese "a mani nude", pensava che fosse importante creare un movimento politico. E i sondaggi confermavano i numeri, dicevano che era battibilissima la sinistra. Le rilevazioni dicevano che se si fosse presentato un movimento credibile per la storia personale dei promotori, questo avrebbe potuto raggiungere la maggioranza relativa. Così fu. È stato un uomo molto coraggioso. Letta e Confalonieri erano contrari alla sua discesa in campo perché metteva a repentaglio quello che aveva, il suo futuro e quello dell'azienda. "Vedrai - dicevano - che ti attaccheranno su tutto quello che hai, il tuo patrimonio". Ma lui accettò e corse quel rischio».

E fondò Forza Italia.
«L'idea era un partito liberale di massa, l'aspirazione era quella. Fece fare la presentazione del partito alla fiera di Roma nel 1994, c'eravamo io e Antonio Martino. Eravamo due professori universitari. Martino era iscritto al partito liberale io, da liberale, firmavo i fondi sul Corriere diretto da Piero Ostellino. Con noi c'era anche una ex magistrata di Mani Pulite: Tiziana Parenti. Pioveva ma era pieno di gente»

Come andò?

«Fu un comizio non comizio. Se ci penso: eravamo professori universitari a tenere un comizio. Berlusconi ci costrinse a non usare parole in inglese e ci disse di essere semplici per arrivare alla testa e al cuore della persone».

Perché fu così dirompente?
«Era un leader che veniva dalla società civile e poi era l'imprenditore che aveva creato un'alternativa alla Rai! Era credibile: uno che fa un partito dall'oggi al domani non può non essere credibile. La sua azione si fondava sull'indipendenza dal sistema tradizionale dei partiti: una novità assoluta che risultava molto attraente. Ai tempi di Mani pulite, poi. E infatti gli italiani accorsero».

La formula vincente su cosa si fondò?
«Il disamore e la disistima per i partiti tradizionali. E poi la sua figura: era un imprenditore di successo che si era inventato la televisione alternativa alla tv pubblica. I nostri nemici dissero che era un partito di plastica, inventato sulla carta ma non era vero».

Che ricordi ha della campagna elettorale del 94?

«Ne abbiamo fatte tante in tv e nelle piazze. In piazza c'era un mondo molto variegato. Fui costretto a parlare senza citare parole inglesi, parole complicate, a usare un vocabolario semplice: a diecimila persone non si possono fare discorsi complessi ma bisogna essere pane pane vino al vino. Prendemmo il 20% quindi vuol dire che in piazza ci veniva almeno il 30%. E tutto questo senza una struttura, un apparato».

C'erano le aziende.


«Anche su questo: molti criticarono il coinvolgimento degli uomini della pubblicità, ma erano 4 gatti. Poi, certo, sono diventati dirigenti di Forza Italia ma la nostra forza era non avere apparato, la nostra forza era nel cittadino qualunque. Dicevano che era un partito di élite, di ricchi, e invece se prendi il 20% è perché sei un partito a vocazione popolare, non escludi nessuno, non parli a una sola sociale. Le élite, quelle di sinistra gli erano avverse perché ritenevano che ci fosse una popolarizzazione eccessiva. Ma in democrazia l'essere popolari non è mai eccessivo». 

C'erano le tv.

«Sì ma lui aveva il marketing, una dote naturale da comunicatore che sbaragliava le narrazioni contrarie. Gli costruirono addosso una caricatura che gli faceva comodo perché poi la gente lo sentiva in tv e non vedeva quella caricatura». 

Chi si occupò di quel primo manifesto politico del '94?
«Il manifesto politico fu opera di tre persone: Martino si occupò della parte economica, io di quella politica e istituzionale (lanciammo il presidenzialismo alla francese per ridare potere al popolo) e Del Debbio curò la parte giornalistica».

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Quando l'imprenditore è diventato politico?

«Subito, ha scoperto le radici e le essenze subito, ma rimase estraneo alla politica precedente che lui chiamava teatrino, una politica per addetti ai lavori. Venivamo da formule complicatissime: le convergenze parallele inventate da Moro, in cui un elettorato democristiano doveva sposarsi con i comunisti. Ci pensa? Noi nel '94 attirammo gli elettori delusi dagli altri partiti: ex socialisti, ex democristiani,  ex tante cose che vedevano in lui una speranza e un cambiamento di rotta».

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Il suo anticomunismo, pure, fu un inedito?

«Assolutamente. Nella ricetta del successo di Forza Italia c'era questo: l'immunità dalle suggestioni comuniste. Noi sentivamo che dovevamo necessariamente svoltare. Il comunismo era fallito in Unione sovietica e noi avevamo il partito comunista più forte d'Europa, ma volevamo comunque conquistare elettori. Ebbe molto successo il libro nero sul comunismo: un'operazione verità fatta con un libro, capisce? Ne stampammo tantissime copie». 

Mancava questa critica sul mondo comunista?

«Abbiamo avuto il coraggio di fare quello che non fecero i democristiani. E infatti molti sono finiti nel Pd». 
 

Ultimo aggiornamento: 13 Giugno, 14:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA