Berlusconi, l'impero di Fininvest valutato fino a 6 miliardi: da Edilnord a Milano 2, una storia iniziata 60 anni fa

Forbes l’ha stimato a 6,8 miliardi anche se molti bankers ritengono che calcolando il surplus di valutazione insito in ipotetiche transazioni di vendita, fuori dalle intenzioni di Marina e Pier Silvio, figli del primo matrimonio con Carla Dall’Oglio, il prezzo potrebbe essere più alto.

Lunedì 12 Giugno 2023 di Rosario Dimito
Berlusconi, l'impero di Fininvest valutato fino a 6 miliardi: da Edilnord a Milano 2 una storia iniziata 60 anni fa

ROMA L’impero di Silvio Berlusconi, solo per le tre quotate - MFE-Mediaset (52,5% diretto e azioni proprie), Banca Mediolanum (30%), Mondadori (53%) - vale in Borsa 2,7 miliardi.

Ma se il calcolo viene compiuto sulla base del patrimonio della Fininvest, la holding da lui controllata attraverso sei “Holding Italiane”, dove sono rappresentati i due rami della famiglia, viene fuori che rispetto a mezzi propri di 4,9 miliardi, il valore della partecipazione cumulata (61,2%) riferibile al fondatore di Forza Italia, si attesta a circa 2,9 miliardi. 


DA EDILNORD A MILANO 2


Forbes l’ha stimato a 6,8 miliardi anche se molti bankers ritengono che calcolando il surplus di valutazione insito in ipotetiche transazioni di vendita, fuori dalle intenzioni di Marina e Pier Silvio, figli del primo matrimonio con Carla Dall’Oglio, il prezzo potrebbe essere più alto. Finora l’impero ha distribuito al fondatore e ai figli circa 2,5 miliardi di dividendi. Nel gruppo ci sono tv, editoria, calcio, risparmio, immobili, un’auto e un jet. La prima ragione per cui l’impero resterà così com’è, è sentimentale perchè il capostipite ha iniziato a costruire la fortuna 60 anni fa, con la Cantieri Riuniti Milanesi insieme al costruttore Pietro Canali e, attraverso un prestito di 185 milioni della Banca Rasini (dove lavorava il padre) fu acquistato un terreno. Poi ci sono motivi di intraprendenza imprenditoriale per i quali i due figli ritengono di voler proseguire e sviluppare le iniziative ereditate: non si può dimenticare che Marina e Pier Silvio in tre occasioni si opposero alle intenzioni del padre di cedere Mediaset alla NewsCorp di Rupert Murdoch. «Sulla vendita decidono i miei figli» disse il cavaliere nel 2001, «oggi ci sono ragioni di cuore», legate alle scelte fatte. 

 


In contemporanea con Cantieri Milanesi, Berlusconi costituì Edilnord che, a settembre 1968 acquistò per circa 3 miliardi un’area di 710 metri quadrati a Segrate: qui nacque Milano 2, una città satellite simile a quelle che ci sono nelle periferie olandesi. Il 23 marzo 1975, nello studio legale di Umberto e Cesare Previti vide la luce la Fininvest, la holding chiave dell’impero, prima come srl e poi trasformata spa, capitale sociale di 55 miliardi, controllata da 22 “Holding italiane”, inizialmente tutte intestate a lui e dal 2005, ridotte e aperte ai cinque figli. Subito dopo vennero fondate Rete Italia e Publitalia ‘80 per supportare il mercato televisivo di Telemilano e in seguito, Canale 5. 
Fu l’iniziò dell’espansione perchè (luglio 1988) Fininvest acquistò il 70% Standa da Montedison per 881 miliardi compresi gli gli immobili legati alle attività commerciali. Poco prima fu acquisita la minoranza KMP - Kabel Media, tv via cavo tedesca, poi dismessa, primo tassello del successivo sbarco in Germania avvenuto nel 2019 con ProsiebenSat1. 
Nell’89 iniziò la guerra di Segrate con Carlo Der Benedetto attorno alla Mondadori, conclusasi nel ‘91 con la cessione dalla Cir a Fininvest della Arnaldo Mondadori per 1.000 miliardi e la società di Segrate vendette alla controparte Repubblica e L’Espresso per 1.400 miliardi.
A fine 1992 il gruppo possedeva 169 società di cui 45 estere: l’utile era 21 miliardi di vecchie lire ma l’indebitamento sfiorava 5.000 miliardi e già preoccupava le banche. La pesante situazione finanziaria si sovrappose alla discesa in campo in politica di Silvio creando il polverone del conflitto di interessi, alimentato dalle polemiche sulla valutazione dei diritti televisivi di Mediaset, nata nel 1993. Nel 1995, quando si progettava la quotazione di Mediaset, le banche facevano pressing. Lucio Rondelli, ad del Credito italiano mise al rientro la Fininvest di circa 1.000 miliardi di vecchie lire di linee. Sarebbe stata la fine del gruppo se non fossero intervenute Comit, Cariplo e Banca di Roma a prestare alla holding 1.000 miliardi da restituire al Credit. E da allora le banche guidarono il rilancio del gruppo e di Mediaset mentre la magistratura accendeva un faro nei confronti dei bilanci della subholding televisiva: sotto tiro c’era la valutazione dei diritti televisivi che fu certificata da una perizia di una società di Los Angeles specializzata in Major: Kagan.


AL WALEED E BOLLORÈ


Nel ‘95 per la seconda volta Rupert fu a un passo dall’acquisto di Mediaset all’interno di un piano nel quale Berlusconi avrebbe preso una quota di NewsCorp. Anche allora ci fu il no dei figli. Per cristallizzare il valore del Biscione, Imi e Cariplo suggerirono al cavaliere di cedere un pacchetto del 20% a tre investitori strategici esteri nel campo delle tv: Al Waleed, Rupert, patron di Telepiù e Leo Kirch. Era il 1995. Qualche mese dopo nel capitale di Mediaset entrarono le banche: Imi, Mps, Comit e Cariplo che traghettarono la società fino alla quotazione del 50,1% per un valore di circa 4.500 miliardi. 
Da quel giorno è partito il rilancio di Berlusconi - in politica da fine ‘93 - ma con i conti definitivamente in ordine. Fallita nel 2001 l’ultima trattativa con Murdoch, tre anni dopo Fininvest creò Premium, pay tv per fare concorrenza a Sky. Premium finì nell’aprile 2016 nel mirino di Vivendi: un incontro segreto a Parigi fra Berlusconi e Vincent Bollorè gettò le basi per un’ampia alleanza strategica: Vivendi comprò Premium supportato da un incrocio azionario del 3,5%. Questo grande accordo si è risolto nel 2021 con una separazione consensuale che ha lasciato la maggioranza a Fininvest dopo una guerra giudiziaria e il tentativo di scalata francese al Biscione. 

Ultimo aggiornamento: 15:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA