Castello delle Cerimonie, la rabbia della famiglia Polese: «Un’ingiustizia, faremo appello alla Corte di Strasburgo». Dipendenti preoccupati

La Corte di Cassazione ha sancito la confisca dell'hotel ristorante. «Siamo tutti avviliti, insieme alle nostre circa 300 famiglie che lavorano con noi tra diretto e indotto. Pensavamo che la giustizia fosse diversa»

Sabato 17 Febbraio 2024
Castello delle Cerimonie, la rabbia della famiglia Polese: «Un’ingiustizia, faremo appello alla Corte di Strasburgo»

Sui social la notizia è diventata virale in pochi minuti, perché l'hotel ristorante "La Sonrisa", noto al grande pubblico come il "Castello delle Cerimonie", era diventato il simbolo di una nota serie tv di Real Time dedicata ai festeggiamenti per i matrimoni e altre ricorrenze. La Corte di Cassazione ha sancito la confisca dell'hotel ristorante. Ma la famiglia proprietaria annuncia di voler fare ricorso alla Corte di Strasburgo. Il Castello delle Cerimonie si trova a Sant'Antonio Abate, piccolo comune in provincia di Napoli, dove ora crescono i timori per il futuro di oltre 200 famiglie: tanti sono - tra gli stagionali, i fissi e quelli dell'indotto - i lavoratori che negli anni hanno fatto affidamento sulla florida attività messa in piedi da Antonio Polese, il patron ("Boss delle cerimonie" in tv) che aveva creato dal nulla un business basato sulle nozze-show.

La vicenda giudiziaria

La vicenda giudiziaria della "Sonrisa" è iniziata nel 2011. All'epoca gli inquirenti contestarono una lunga serie di abusi edilizi realizzati a partire dal 1979 su un'area ampia oltre 40mila metri quadrati. Ora la definitiva confisca riguarda gli immobili e i terreni su cui sorge la struttura ricettiva, destinati a essere acquisiti nel patrimonio immobiliare del Comune. Due le opzioni a disposizione dell'amministrazione comunale: demolirla o utilizzarla, ma solo a scopi di pubblica utilità. Con la sentenza emessa nel 2016 dal Tribunale di Torre Annunziata vennero condannati a un anno di reclusione (pena sospesa) Rita Greco, morta nell'agosto 2020 a 80 anni, moglie del patron Antonio Polese (anche lui deceduto all'età di 80 anni, il primo dicembre 2016), e Agostino Polese, fratello di Antonio, che rivestiva la carica di amministratore della società. La sentenza di primo grado venne però riformata in parte, dalla Corte d'appello di Napoli e da ieri è passata in giudicato, con il pronunciamento degli ermellini che hanno anche sancito la prescrizione dei reati contestati agli indagati.

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La famiglia Polese: «Un'ingiustizia, valutiamo il ricorso alla Corte di Strasburgo»

Di ingiustizia parla, a nome della famiglia dei proprietari, Ciro Polese: «Riteniamo di aver subito un'ingiustizia, che forse la Cassazione non ha neanche letto le carte e che sia stata fatta una valutazione a senso unico. Stiamo considerando con gli avvocati cos'altro fare, credo che ci appelleremo alla Corte di Strasburgo, per essere valutati da una Corte imparziale. Siamo tutti avviliti, insieme alle nostre circa 300 famiglie che lavorano con noi tra diretto e indotto. Pensavamo che la giustizia fosse diversa, che con i reati finiti in prescrizione non si procedesse in questo modo, non ce l'aspettavamo questa decisione. Ora non so cosa accadrà. Al momento stiamo continuando a lavorare perché il Tribunale ci ha affidato l'azienda, proprio per non mandare a casa i lavoratori. Speriamo che anche il Comune possa farlo. O che in futuro si occupino della struttura una o più associazioni, che non mandino a casa i nostri dipendenti. Noi continueremo la nostra battaglia». 

 

Per ora l'attività prosegue, il tribunale ha affidato l'azienda ai Polese proprio per garantire la continuità occupazionale. Ma appena subentrerà il Comune, cosa accadrà? La sindaca Ilaria Abagnale spiega di voler procedere in stretto raccordo con le istituzioni, il prossimo passo sarà un suo incontro con il prefetto e i vertici della procura. «Si tratta di una struttura ricettiva importante per il nostro territorio - spiega Abagnale - punto di riferimento per tutta l'area e che da anni offre lavoro a centinaia di famiglie, non solo abatesi». Tra le ipotesi, tenere aperta la struttura ricettiva affidandone la gestione a privati, mediante un bando pubblico che escluda gli attuali proprietari. Il Comune potrebbe ricavarne un fitto da destinare a scopi di pubblica utilità. A Sant'Antonio Abate esiste già un simile esempio, con un ristorante che fu confiscato ed è stato lasciato alla gestione privata, assicurando al Comune il fitto del locale.

Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 16:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA