Ha cambiato il linguaggio.
Le parole del Cav
Le parole del Cav sono diventate linguaggio collettivo pur evidenziando sempre il proprio marchio di fabbrica e nessuno ha saputo parlare alla Berlusconi quanto riusciva al titolare. «Rivoluzione liberale»: a lui si deve, dopo che a Piero Gobetti (solo Silvio poteva inventarsi questo accostamento con il giovane martire anti-fascista, scandalizzando la sinistra), questa formula rimasta tale, perché tutto e il contrario di tutto ha fatto nella sua lunga parabola esistenziale Berlusconi tranne che rendere l’Italia liberale (del resto questo Paese, al netto di Silvio, è cromosomicamente anti-liberale).
Elogio della follia
E ancora: viene il dubbio, dopo che lui ha ripetuto milioni di volte questa espressione, che «elogio della follia» sia più di Berlusconi da Arcore che di Erasmo da Rotterdam. «Un milione di posti di lavoro» e «meno tasse per tutti» spiccano - insieme «il miracolo italiano» e al «nuovo miracolo italiano» - nella linguistica dell’ex premier. Per non dire di tutto ciò che ha detto di Mussolini, accarezzando le credenze di certi italiani: «Il Duce? Mandava gli anti-fascisti in villeggiatura a Ponza e in altre isole che, chissà perché, venivano chiamate di confino. La parola «efficienza» nel politichese non esisteva e in politica l’ha sdoganata lui. Forza Italia, slogan calcistico che diventa brand politico, solo Silvio - il quale insisteva: «Voglio una nazione di campioni», come la nazionale - poteva spostarlo da un campo all’altro. «Il Milan fa bene all’Italia»: altro esempio di ibrido. Come anche questo che riguardante però calcio e politica ma politica e religione: «Voi siete missionari della libertà», così chiamava gli azzurri forzisti. Quanto a lui si autodefiniva - altro picco di creatività terminologica - «l’Uno del Signore».
Il premier operaio
Ma anche, più laicamente, il «premier operaio» o «il premier ferroviere» (quando indossò il cappello da capotreno) o il «premier spazzino» quando disse di voler ripulire con le proprie mani Napoli sommersa dai rifiuti. «Gli italiani - parola di Cav - sanno al massimo cento parole, bisogna ripetere sempre quelle per farsi capire e quindi per farsi votare». Ma lui ne diceva molte di più, e così le «berlusconate» sono quasi diventate l’idioma nazionale ma nessuno lo ha saputo parlare e giocarci come lui. Il premier linguista.