TRAP: «PANCHINA ADDIO»

Martedì 9 Gennaio 2018
L'INTERVISTA
«Devo dire grazie al calcio per tutto quello che mi ha dato. Ma a 79 anni è arrivato il momento di dire basta alla panchina. Serenamente. Perché il calcio mi ha dato moltissimo. Ci potrebbe essere ancora una chiamata di qualche Nazionale. Ma sarebbero Paesi lontani. E mia moglie mi ha detto: se vai, cambio le serrature di casa e qui non entri più». Se la ride Giovanni Trapattoni, 79 anni il prossimo 17 marzo. Il suo addio alla panchina non è maturato certo oggi (ultima apparizione da commissario tecnico dell'Irlanda, settembre 2013). Ma fa comunque un certo effetto che a pronunciare queste parole, per la prima volta, sia lui, che ha fatto del calcio e della panchina la sua vita. E dopo 43 anni trascorsi, a bordo campo, da condottiero dei suoi giocatori, ora sceglie di dire basta. Un annuncio proprio all'inizio del 2018,
Come vivrà il calcio da oggi in avanti?
«Facendo l'opinionista quando me lo chiedono. E soprattutto girando per gli oratori, per le scuole e per le associazioni, cercando di fare del bene, partecipando a dibattiti e incontri che possano dare qualcosa ai giovani».
Chi vede come suo erede in panchina?
«Gasperini».
Eppure la cercano ancora come tecnico.
«Sì è vero. Volevano andassi in Cina, e in Africa. Troppo distante. Io devo stare qui, vicino a casa, con la mia famiglia e i nipoti».
Farà il commentatore televisivo ai prossimi Mondiali?
«No, io sono un allenatore. Sempre. Quello è un lavoro per i giornalisti non da allenatori».
Sarà, comunque, un Mondiale amaro per noi italiani:
«Un evento nefasto e epocale. Ma non c'è da stupirsi. E' stato solo l'atto finale di una crisi che parte da molto lontano».
Che idea si è fatto?
«Ripeto è una crisi generale di valori. Basta vedere il nostro campionato: secondo me rimane il più bello, ma è giocato prevalentemente da calciatori stranieri. I fuoriclasse italiani si contano sulle dita di una mano. Va aggiunto che all'andata, nello spareggio con la Svezia, anche l'arbitraggio ci ha notevolmente penalizzato».
Da dove si può ripartire?
«La risposta è semplice: dai settori giovanili delle società: ma va fatto un programma serio».
Chi vede favorito per lo scudetto?
«Ancora la Juve. Ma sarà un testa a testa con il Napoli fino alla fine».
Chi è il miglior allenatore attualmente?
«Personalmente dico Sarri».
E quale è il giocatore che reputa più decisivo?
«Higuain: ti garantisce un gol a partita. Un piccolo tesoretto».
Meglio la Juve di Allegri o la sua di Platini?
«Sono due epoche diverse, che non si possono lontanamente nemmeno paragonare. Ma, se posso, dico la mia perchè non c'era solo Platini, ma anche tanti altri campioni, Boniek, Scirea e molti altri, i cui nomi parlano da soli».
Come vede le italiane in Champions?
«Juve e Roma hanno tutte le caratteristiche per passare ai quarti, e poi inserirsi per la vittoria del titolo. Ma molto dipenderà dalla condizione fisica con cui entrambe arriveranno a marzo. Conterà la condizione fisica a primavera, ecco».
Chi è favorito per diventare la regina della Champions 2018?
«Le squadre inglesi e quelle spagnole sono indubbiamente le avversarie numero uno da battere: Manchester, Real e Barcellona».
Lei è proprio sicuro, smette?
«Sì. Smetto di allenare, ma non esco dal calcio. Io sarò sempre un uomo di calcio. Alla mia età, non potrei più stare sul campo tutti i giorni. Potevo essere tentato da qualche Nazionale, perchè il ruolo del ct non richiede uno stress quotidiano Ma poi comunque hai mille impegni e devi girare il mondo per andare a vedere i giocatori da convocare. Troppo dispendioso».
Lei è stato il primo degli allenatori italiani ad andare all'estero a lavorare, oggi questa è un'abitudine consolidata. Cosa ne pensa?
«Che la scuola italiana è sempre tra le migliori in assoluto. Magari non sempre sarà il calcio più bello o spumeggiante, ma i nostri allenatori hanno una capacità interpretativa delle partite, saper leggere la gara a match in corso, che altri non hanno e che tutti ci invidiano».
Lorenzo Mayer
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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