Le donne della Resistenza: «Se ne deve parlare a scuola»

Venerdì 26 Aprile 2019
Le donne della Resistenza: «Se ne deve parlare a scuola»
LA TESTIMONIANZA
dal nostro inviato
VITTORIO VENETO (TREVISO) Quando sale sul palco, Francesca Meneghin dice che deve fare una confidenza «a tutti, ma soprattutto al presidente della Repubblica», seduto in prima fila tra i questori (veneti: Antonio De Poli e Federico D'Incà) di Senato e Camera. «Non sono stata partigiana, sarei stata un po' staffetta...», si schermisce questa ragazza del 1927, che alla Resistenza nella guerra prima e nel sindacato poi ha dedicato tutta la sua vita, quasi più intimorita dagli onori di ora che dai pericoli di allora. Ma la sua è una precisazione che rispecchia in pieno l'indicazione fornita dal Quirinale al Comune di Vittorio Veneto: promuovere una celebrazione del 25 Aprile che rendesse il giusto merito al ruolo delle donne nella lotta di Liberazione, tanto che l'orazione storica è stata affidata alla docente universitaria Giulia Albanese.
L'OMAGGIO
Inevitabile l'omaggio delle autorità a Tina Anselmo. «Non ho mai avuto la fortuna di conoscerla di persona», si rammarica il governatore Luca Zaia, a cui il presidente Sergio Mattarella si rivolge espressamente con un sorriso per sottolineare un dato biografico che lo differenzia: «Anche per motivi di età, ho avuto l'opportunità e l'onore di lavorare a stretto contatto con lei in Parlamento». Ma la testimonianza più intensa è quella della signora Meneghin, avvicinata «verso l'autunno del 43 da persone della Chiesa per partecipare a riunioni che si tenevano a notte tarda», in un orfanotrofio situato a pochi metri dal comando della Decima Mas («Paura? Sì, tanta»). Racconta l'anziana: «Abbiamo fatto la stessa strada, a Castelfranco lei e a Vittorio io. È stata la mia maestra e la mia amica, fino alla sua morte».
IN BICICLETTA
Meneghin parla senza indugi a Mattarella: «Signor presidente, non mi rimproveri se dico anche a lei che se non ci fossero state le donne, la Resistenza sarebbe stata più lunga e luttuosa. Andare e tornare in bicicletta e a piedi, portando notizie, cibo, vestiario, medicine, sulle strade impervie delle nostre colline e montagne. Partigiane, staffette, eroine senz'armi. Giovanna Faè, caricata su un mezzo tedesco dal quale non ha più fatto ritorno. Rina Lorenzon, insegnante a Montaner, che insieme a suor Pasqua inventò una quarta sezione ospedaliera per malattie infettive, dove in realtà venivano nascosti i giovani. Leda Azzalini (presente in sala, ndr.), che affrontò i pericoli del Cansiglio. Sofia Gobbo, componente del comitato di divisione Nino Nannetti. E ho citato solo quelle della mia zona». Il capo dello Stato annuisce: «Concordo con lei. Per la Resistenza fu decisivo l'apporto delle donne, volitive e coraggiose. In Veneto furono staffette, ma anche combattenti». Alla soglia dei 92 anni, Francesca sente però ancora un'urgenza: «Parlare poco o niente nelle scuole di questa guerra è stato un errore e lo è soprattutto in questo periodo, in cui torniamo a sentire i fascisti che gridano: Viva il Duce. Facciamolo presto, ora, con impegno. Contrariamente sarà troppo tardi».
A.Pe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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