Veneto Banca, 4 miliardi di buco per una crisi annunciata

Sabato 17 Marzo 2018
L'INCHIESTA
TREVISO Quando la crisi batteva ancora forte e duro causando tra le altre cose una asfissiante stretta del credito a famiglie e imprese, Veneto Banca tirò fuori oltre 250 milioni di euro sotto forma di prestiti per finanziare l'acquisto delle proprie azioni, messe sul mercato nel tentativo disperato di ricapitalizzarsi Non solo: mentre a tanti chiedeva il rientro dai fidi l'istituto di credito montebellunese manteneva in piedi situazioni di credito deteriorato con debitori eccellenti anche di fronte a stati di insolvenza dichiarati in sede giudiziale e dando soldi a soggetti rispetto ai quali non applicava nessuno dei criteri di misurazione del merito creditizio così come faceva invece con la gente comune. Sono queste alcune delle conclusioni a cui è arrivata la Banca Centrale Europea nel 2015 al termine di una lunga ispezione su Veneto Banca, risultanze che adesso fanno parte integrante della richiesta di stato di insolvenza presentata dal sostituto procuratore della Repubblica di Treviso Massimo De Bortoli alla sezione fallimentare del Tribunale trevigiano. Per De Bortoli, che ha svolto una lunga e approfondita indagine coadiuvato dalla Guardia di Finanza, al momento della messa in liquidazione coatta Veneto Banca si trovava in stato di insolvenza, desumibile, scrive il magistrato da una situazione di irreversibile deficit patrimoniale e dall'incapacità di procedere al pagamento delle obbligazioni emesse, tanto che fu impossibile rimborsare le obbligazioni subordinate a tasso variabile in scadenza nel giugno del 2017. E infatti il governo dispose la sospensione del rimborso, bloccando con un decreto legge il pagamento per un ammontare complessivo di 150 milioni di euro.
IL BOND NON RIMBORSATO
L'istanza della Procura, che fa seguito ad una specifica azione da parte di un gruppo di ex azionisti e ex obbligazionisti subordinati, verrà discussa dal giudice fallimentare il prossimo 23 marzo. Il lavoro del pubblico ministero trevigiano, che ha aperto anche una indagine penale per falso in bilancio, falso in prospetto e falso in certificazione in relazione alla vendita delle azioni divenute carta straccia nel giro di tre anni, ripercorre i passaggi delle varie verifiche e ispezioni di cui Veneto Banca venne fatta oggetto a partire dal 2013, quando già, secondo la Procura di Treviso il patrimonio di vigilanza era largamente sovrastimato e tutti i coefficienti riportati nei bilanci, da allora e fino a tutto il 2017, erano nei fatti inferiori ai limiti richiesti dalla Bce. A inizio 2013 la Banca d'Italia intervenne con due accertamenti ispettivi. Il 6 novembre dello stesso anno Bankitalia invia una nota ai vertici dell'istituto di credito evidenziando come la situazione gestionale sia ben differente dalla rappresentazione fornita. In particolare viene puntato il dito sulla rischiosità del portafoglio, sulla scarsa attendibilità del valore delle azioni che vengono piazzate sul mercato intorno ai 40 euro l'una, sul fatto che risultano concessi finanziamenti finalizzati proprio all'acquisto dei titoli e che la clientela beneficiaria di questi prestiti non viene accuratamente valutata, oltre al mantenimento in bonis di posizioni creditorie eccellenti ma fortemente deteriorate. E si arriva al 2015, con i controlli della Bce. Successivamente interviene anche la Consob, che rileva elementi di ostacolo alla vigilanza bancaria attraverso l'alterazione delle carte che avrebbero impedito la corretta percezione della situazione. Aggiungendo che l'istituto montebellunese era esposto anche a rischi di reputazione proprio per il modo di piazzare le azioni. Per arrivare al giugno del 2017, con un buco di oltre 4 miliardi e la messa in liquidazione coatta dopo il naufragio della fusione con la Popolare di Vicenza.
Denis Barea
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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