Mafia ad Eraclea, don Luigi Ciotti: «Il Veneto ha gli anticorpi per reagire»

Sabato 9 Marzo 2019
Mafia ad Eraclea, don Luigi Ciotti: «Il Veneto ha gli anticorpi per reagire»
L'INCONTRO
VENEZIA «La mafia è quella cosa degli altri finché non ci tocca direttamente». Cristina Marcadella, padovana, la mafia l'ha toccata con mano la sera del 3 maggio 1992. Fu un errore di identità commesso da tre sicari arrivati a Padova per un omicidio su commissione che non risparmiò la vita di Matteo Toffanin, padovano, 23 anni, ucciso perché era sulla Mercedes bianca di proprietà dello zio, che tanto assomigliava all'auto di un uomo per cui i tre erano partiti dalla Sicilia. «Fino a quel momento la mafia la conoscevo attraverso quello che leggevo. Poi - ha ricordato - è successa la sparatoria mentre ci stavamo salutando dopo una giornata al mare». Da lì è cambiato tutto e adesso Cristina, che per venticinque anni non ha mai voluto testimoniare, il suo dolore lo racconta «ai ragazzi, nelle scuole, alle persone: conoscere è la chiave di tutto. Quello che è successo con i casalesi a Eraclea e la ndrangheta nel veronese, è preoccupante però il Veneto sa reagire».
LIBERA
Ieri, e fino a domenica, Cristina sarà a Venezia, assieme ad altre 400 persone da tutta Italia, all'assemblea nazionale dei familiari delle vittime innocenti di mafia, organizzata dall'associazione Libera di don Luigi Ciotti per portare la sua testimonianza. «Da qui si alzerà un grido di bisogno della verità perché solo con la verità si possono conoscere i percorsi di giustizia», le parole di don Ciotti. Il fondatore di Libera si è soffermato poi sull'inchiesta che ha svelato l'approdo delle cosche sul litorale: «Le mafie hanno una natura parassitaria - ha aggiunto - sono difficili da sconfiggere perché si insidiano nelle persone e le uccide dal di dentro. Il Veneto però ha gli anticorpi per poter reagire: mi stupisco di chi si stupisce, questi sono radicamenti che arrivano da lontano. Bisogna dare atto che ci sono state persone che hanno denunciato, ma c'è stata anche la volontà di tante persone di rimuovere questo problema per non dare un'immagine negativa di questa regione. Vedere le cose che non vanno e dichiararlo, è un atto d'amore, dicendo anche con chiarezza che il problema non è solo chi fa male, ma quanti guardano e lasciano fare. Questo è un momento in cui ci vuole un riscatto da parte di tutti, una rivoluzione culturale, etica, sociale - ha poi concluso - Non dobbiamo temere di parlare delle cose che non funzionano, perché parlarne in un certo modo ci rende ancora più forti».
«Le vittime innocenti - ha spiegato Daniela Marcone, figlia di un uomo ucciso sulle scale di casa dalla Sacra Corona Unita, a Foggia e responsabile nazionale per Libera Memoria dei familiari delle vittime di mafia - non sono persone nel luogo sbagliato al momento sbagliato: sono donne e uomini che stavano facendo la loro vita. È la mafia che nel mondo è nel posto sbagliato. Siamo qui a Venezia non per indicare i punti oscuri ma per dire alla popolazione sana di avere consapevolezza di quello che fa la mafia». «Denunciare rende liberi - ha spiegato Stefania Grasso, figlia di un commerciante ucciso a Locri per non aver pagato il pizzo - Avere paura è un sentimento normale, ma bisogna reagire e non abituarsi».
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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