L'OPERAZIONE
VENEZIA Il clamoroso furto messo a segno a Palazzo Ducale, a Venezia,

Sabato 10 Novembre 2018
L'OPERAZIONE
VENEZIA Il clamoroso furto messo a segno a Palazzo Ducale, a Venezia, il 3 gennaio scorso, è andato a buon fine al terzo tentativo, dopo due prove fallite nei giorni precedenti. Lo ha rivelato il procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, nel corso della conferenza stampa convocata ieri mattina, alla Cittadella della Giustizia di piazzale Roma, per fare il punto sull'inchiesta che giovedì ha fatto finire in manette, in Croazia, cinque presunti componenti della banda. Il sesto è ancora a piede libero: si troverebbe in Serbia dove non vi sono accordi con l'Italia per ottenere l'arresto e l'estradizione e le procedure saranno più difficili e complesse.
«INCHIESTA MAGISTRALE»
«Un'inchiesta magistralmente diretta dal pm Raffaele Incardona ed eseguita con le ben note capacità operative da Squadra Mobile di Venezia e Servizio centrale operativo (Sco) della polizia», l'ha definita il procuratore capo, dopo aver lamentato che le forze di polizia croate hanno comunicato gli avvenuti arresti troppo presto, nonostante la richiesta italiana di aspettare prima di renderli di pubblico dominio.
Il primo tentativo di furto, sabato 30 dicembre del 2017, andò a monte per le difficoltà incontrate dai ladri nell'aprire la teca contenente alcuni dei gioielli esposti nell'ambito della mostra Tesori del Moghul e dei Maharaja, appartenenti alla collezione dello sceicco Al Thani; il successivo martedì 2 gennaio a rovinare i piani della banda fu l'intervento di una visitatrice, la quale preoccupata nel vedere un uomo che toccava la vetrina, avvisò il personale di vigilanza che intervenne ammonendo la persona, non potendo immaginare quale fossero i suoi reali propositi. Il giorno successivo, invece, la bacheca fu forzata e furono sottratti un paio di orecchini in platino e diamanti del valore di un milione di euro, nonché una spilla di platino e rubini da due milioni. Ad operare materialmente il furto sono stati due componenti diversi della banda rispetto a quelli impegnati nei due precedenti tentativi falliti.
TRADITO DA FACEBOOK
«Individuare i componenti della banda non è stato facile», ha spiegato il procuratore Cherchi, ricordando che si tratta di persone straniere, senza precedenti e dunque sconosciute agli archivi di polizia. Proprio per questo gli inquirenti hanno fatto ricorso a tutti gli strumenti investigativi possibili, tradizionali ed innovativi. Ed è stato grazie all'analisi di un social network che è stato possibile raccogliere un riscontro importante per incastrare il presunto capo della banda, Vinko Tomic, che in una foto su Facebook indossa lo stesso anello immortalato dalle telecamere puntate sulla teca da lui svaligiata a palazzo Ducale. Determinante è stata anche la collaborazione internazionale che ha messo a disposizione fotografie recenti dei sospetti, e quella della Polizia Scientifica.
«Questa indagine è stata una sfida - ha dichiarato il capo dello Sco, Alessandro Giuliano, in passato già capo della Mobile di Venezia - Sembrava che gli elementi fossero pochi, ma non ci siamo fermati».
Le immagini delle telecamere di sicurezza interne a palazzo Ducale e quelle disseminate in città sono state il punto di partenza per dare un volto ai componenti della banda e ricostruire il percorso da loro compiuto per arrivare a Venezia e quindi per fuggire.
TELECAMERE E CELLULARI
Gli agenti della Mobile e dello Sco hanno quindi analizzato con «pazienza certosina» tutti i telefonini che hanno agganciato la cella dell'area di piazza San Marco riuscendo a restringere il campo sui possibili responsabili che, come è emerso successivamente, si erano fermati a dormire in laguna e sono stati riconosciuti dal personale della struttura che li ha ospitati. Infine, alcune delle immagini riprese dalle telecamere sono state sottoposte a comparazione fisiognomica, partendo dalle fotografie degli indagati fornite dalle autorità croate e serbe «con le quali vi è stata una proficua collaborazione», ha precisato il dottor Giuliano. Poliziotti italiani si sono recati a Zagabria per seguire da vicino le fasi dell'individuazione, ricerca e cattura dei cinque indagati.
«Sembrava un'indagine impossibile, ma non è mai mancata la fiducia - ha proseguito il capo della Mobile lagunare, Stefano Signoretti - I miei uomini hanno lavorato giorno e notte, rinunciato a domenica e ferie e, passo dopo passo, grazie ad un lavoro di squadra, siamo riusciti a chiudere il cerchio».
Alla conferenza stampa ha preso parte anche il questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi, il quale ha sottolineato «l'eccezionale rapporto di collaborazione tra Procura e forze di polizia», ringraziando in maniera speciale «il capo della Mobile Signoretti e i suoi uomini» e Alfredo Fabbrocini, direttore della Seconda divisione dello Sco.
REFURTIVA SCOMPARSA
L'inchiesta non è ancora chiusa e gli accertamenti da fare sono numerosi, alla ricerca di eventuali complici e di possibili mandanti. Anche se non sarà facile, a meno che qualcuno degli indagati non decida di collaborare.
La refurtiva finora non è stata trovata, nonostante le perquisizioni eseguite in Croazia: l'ipotesi è che si sia trattato di un furto su commissione (e che, dunque, i gioielli si trovino nascoste nelle mani di qualche ignoto collezionista), anche se per ora «non è stato raccolto alcun elemento che possa confermarlo». Cherchi ha smentito che, per ora, siano emerse «risultanze in merito all'esistenza di un basista a Venezia», che possa aver fornito indicazioni o aiutato i componenti della banda: «La bacheca era chiusa e l'allarme non è stato manomesso», ha precisato il procuratore capo.
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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