Indagato Casarini: «Con il comandante una scelta condivisa»

Sabato 23 Marzo 2019
MIGRANTI
VENEZIA Parlando di sé, ancora un paio d'anni fa, Luca Casarini diceva: «Non mi ricordo quante denunce ho preso». Ieri l'ex leader dei Disobbedienti deve aver risentito quel brivido, dal momento che si è ritrovato nuovamente iscritto nel registro degli indagati, questa volta come capo-missione di Mediterranea Saving Humans, la piattaforma che lunedì scorso a bordo della Mare Jonio ha soccorso 49 migranti al largo della Libia e ha quindi fatto rotta su Lampedusa. «Affronto questa inchiesta a testa alta», ha comunque fatto sapere il 51enne nato a Mestre e già attivista a Padova, rispetto alle ipotesi di reato formulate dalla Procura di Agrigento, vale a dire favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave militare.
LE CONTESTAZIONI
Si tratta delle stesse contestazioni per cui è sotto inchiesta anche Pietro Marrone, il comandante dell'imbarcazione di cui risulta armatore Beppe Caccia, ex assessore comunale di Venezia. Era proprio come persona informata sui fatti oggetto di quel fascicolo che, ieri mattina, Casarini era stato convocato al comando brigata della Guardia di finanza di Lampedusa, per essere sentito dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dal sostituto Cecilia Baravelli. Curiosità: in questa storia molto nordestina, è veneta pure la pm; originaria di Treviso, la giovane magistrato ha svolto il tirocinio a Venezia. Ma tornando alla deposizione, dopo sette ore Casarini ha confermato di aver condiviso con Marrone la scelta di dirigere la Mare Jonio verso Nord e dunque verso l'Italia. In questo modo ha reso quelle che tecnicamente sono definite «dichiarazioni indizianti» per se stesso: da semplice testimone, cioè, è diventato un inevitabile indagato. Così in effetti è stato, perché come prevede il codice di procedura penale, l'esame è stato interrotto. La prossima settimana il 51enne sarà nuovamente interrogato, questa volta in qualità di persona sottoposta ad indagini, alla presenza dei suoi avvocati. L'esponente di Mediterranea ha già nominato come suoi difensori di fiducia Fabio Lanfranca e Serena Romano, gli stessi che già assistono il comandante Marrone, anche se avrà la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere.
LE PAROLE
Questa non sembra però essere l'intenzione di Casarini, che in serata ha ribadito la volontà di raccontare non solo cos'è successo quel giorno, bensì pure cosa accade di frequente in mare: «C'è stato un nuovo naufragio con decine di annegati davanti alle coste libiche. E non c'era nessuno a intervenire. Questo è il grande crimine del nostro tempo. Salvare vite umane non può essere considerato un crimine. E io lo dimostrerò». Davanti agli inquirenti, il capo-missione avrebbe esposto in maniera lineare la sequenza dei fatti avvenuti lunedì, «dalla prima segnalazione di un barcone in difficoltà arrivata in mattinata, fino alla decisione di fare rotta verso il porto di Lampedusa», riferiscono i suoi collaboratori. A quel punto il verbale è stato chiuso, mentre nel caso di Marrone, che era già indagato e assistito, il racconto era andato avanti sino alla descrizione dell'attracco sull'isola. Casarini ha fornito copia degli scambi di email con le autorità libiche e italiane, la lista delle telefonate satellitari fatte alle stesse autorità dalla plancia della nave e la registrazione delle immagini girate dall'impianto di videosorveglianza di cui è dotata l'imbarcazione per volontà della Ong.
LA COLLABORAZIONE
In una nota Mediterranea ha ribadito la propria serenità: «L'iscrizione di Luca Casarini nel registro degli indagati non ci sorprende: comandante e capo missione condividono la responsabilità delle scelte prese a bordo. Il nostro atteggiamento non cambia, siamo certi di esserci mossi nel campo del diritto e della legalità. Anzi, questa è una occasione giudiziaria per dimostrare la linearità del nostro operato e per fare chiarezza su quello che succede nel Mediterraneo centrale, come chiediamo da tempo. Sarà dimostrato come non siano le navi della società civile a violare il diritto e quanto sia paradossale che un Paese come la Libia abbia il controllo di una enorme zona Sar». Ha quindi aggiunto la portavoce Alessandra Sciurba: «Stiamo dando tutta la nostra collaborazione, perché è una grande occasione per fare chiarezza. Non siamo noi che violiamo i diritti ma chi ha fatto gli accordi con la Libia, chi riporta i migranti in Libia, chi ha permesso che la Libia avesse una zona Sar pur non essendo riconosciuta come un porto sicuro».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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