IL RETROSCENA
ROMA «Dopo la pagliacciata di Salvini che ha cercato, senza

Giovedì 15 Agosto 2019
IL RETROSCENA
ROMA «Dopo la pagliacciata di Salvini che ha cercato, senza avere neppure il coraggio di dirlo, di rilanciare l'alleanza con noi e il governo Conte giocando il bluff sul taglio dei parlamentari, per noi è finita». Con queste parole, ieri mattina, Luigi Di Maio ha definitivamente chiuso la pratica del governo giallo-verde. Game over.
Eppure, il capo politico dei 5Stelle è descritto in una posizione attendista. «Luigi sicuramente non vuole andare alle elezioni, ma è ancora a metà del guardo e non si vuole esporre. Vuole per prima cosa capire cosa intende fare il Pd», spiega un parlamentare vicino al vicepremier grillino, la cui leadership però vacilla. E non poco.
Sorte di Di Maio a parte, il fronte del non voto e del sì al patto per un governo di legislatura con il Partito democratico, +Europa, Leu e centristi vari («e la diluizione dei dem non guasta»), si allarga di ora in ora. Adesso non sono solo Beppe Grillo, Davide Casaleggio, il presidente della Camera Roberto Fico e il capogruppo in Senato Stefano Patuanelli a voler mandare a casa «il barbaro» Salvini e restare in Parlamento per «continuare il cambiamento del Paese».
Alla squadra del sì ieri si è unita Carla Ruocco: «Se ci sono margini per condividere dei punti importanti che facciano bene al Paese va bene un governo con chiunque». E soprattutto si stanno mobilitando centinaia di parlamentari che faranno sentire la loro voce nell'assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato in programma lunedì. «L'intenzione», spiega uno dei peones che lavorano a concretizzare l'intesa con il Pd, «è quella di fissare una linea chiara e sottoporla a Di Maio». Ed è molto probabile che i responsabili stilino un documento in cui verrà posto l'accento sulla necessità di «creare un fronte comune per frenare la deriva autoritaria e anti-europea di Salvini. «Il 97-98% dei parlamentari vuole andare avanti con il Pd senza ma e senza se», aggiunge un altro deputato.
E afferma Giorgio Trizzino, onorevole siciliano che si descrive «cattolico democratico» e «mattarelliano»: «Dopo la distanza di questi anni con il Pd non possiamo aspettarci che tutto venga sanato in un battito di ciglia. Ci vuole un cammino work in progress per andare lentamente verso una ricomposizione. Sono convinto che buona parte dei nostri lavori siano condivisi dal mondo riformista del Pd e non si può lasciare nulla di intentato». Parole a parte, è emblematico che i vertici del Movimento abbiano chiesto agli uomini della comunicazione pentastellata di interrompere gli attacchi al Pd.
IL SECONDO FRONTE
Sul fronte del no all'accordo con il Partito democratico per ora restano attestati solo Alessandro Di Battista (che vede nelle elezioni la possibilità di rientrare in gioco), Paola Taverna, Manlio Di Stefano e Stefano Buffagni. «Ma lui è un moderato, uno che ha spinto per provare ad andare d'accordo con la Lega, ma è pronto a cambiare idea se la proposta con i dem dovesse marciare», spiega chi conosce bene il sottosegretario agli Affari regionali.
LE SCELTE
Di certo, che Di Maio e il gruppo dirigente del Movimento vogliono che a condurre la trattativa sia il segretario dem, Nicola Zingaretti. E non Matteo Renzi. E se resta un'alea di dubbio su come chiudere il dibattito di martedì in Senato sulle comunicazioni di Giuseppe Conte (Di Maio vorrebbe un voto su una risoluzione a sostegno del premier, ma i dem hanno già fatto sapere che non la sosterranno e dunque questa ipotesi è destinata a tramontare), è altrettanto sicuro che nel Movimento sta maturando l'idea di presentarsi mercoledì al Quirinale, quando Sergio Mattarella aprirà le consultazioni, con due proposte.
La prima: niente elezioni, avanti con un governo di garanzia. La seconda: il Conte-bis, oppure «una donna «potabile a entrambi i partiti». «Giuseppe ha l'appoggio di tutti i 5Stelle, ed è un garanzia per tutti. Senza contare che in Parlamento siamo forti del 34%...», dice un alto esponente grillino. Il problema, però, è che dal Pd hanno già fatto sapere di puntare su altri nomi. In primis, quello di Raffaele Cantone. In subordine quello di Giovanni Flick, ex presidente della Consulta apprezzato anche da Mattarella, Romano Prodi e da parte del Movimento.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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