Meo e Berto Menti, i fratelli da leggenda che fecero grande il calcio vicentino

Venerdì 15 Luglio 2022 di Angela Pederiva
Romeo e Berto Menti, leggende del calcio

VICENZA - Con la sua penna arguta, Gianni Brera ritraeva con queste pennellate Romeo: «Aveva la castagna proibita, un sobrio stile, una fantasia adeguata al tiro, che non abbisognava di fronzoli vari». E con il suo affetto sincero, Ezio Vendrame si rivolgeva idealmente così a Umberto: «A quest'uomo buono e di grande umiltà, a questo immenso maestro di calcio che oggi insegna tecnica individuale agli angeli, stringendolo forte al mio cuore vorrei fargli sentire quanto mi manca e quanto gli ho voluto bene». Tutto il resto l'ha scritto Gianni Poggi, avvocato e pubblicista di Vicenza, in un documentato libro dal titolo delicato ed essenziale com'erano i Menti: Meo e Berto (Gino Rossato Editore), due fratelli che hanno reso importante il calcio vicentino.

E non solo quello, dal momento che l'uno è stato immortalato dalla tragica epopea del Grande Torino, mentre l'altro ha vestito anche le maglie della Juventus e del Milan.

I Menti I, II, III, IV

Per la verità a indossare la casacca biancorossa è pure Mario, nato nel 1913, a cui seguono proprio Umberto nel 1916 e Romeo nel 1919: rispettivamente Menti I, Menti II e Menti III, nei tabellini degli anni 30 dell'Associazione Calcio Vicenza (dove nei decenni successivi comparirà per giunta un Menti IV, cioè il loro nipote Luigi, figlio del primogenito Pietro). Ma dopo il ritiro del maggiore in squadra rimangono solo Berto e Meo, debuttanti entrambi a 16 anni (e 28 giorni il primo, e 3 giorni il secondo), a tenere alto il cognome della famiglia. In tutto sette fratelli, messi al mondo da papà Luigi Menti e mamma Maria Rosa Perozzo, che si conoscono in Cadore dove lui è guardiacaccia e lei è guardarobiera nella tenuta del re Vittorio Emanuele II.
Per ricompensarlo del suo buon lavoro, il sovrano regala alcune monete d'oro al suo fido dipendente, che a quel punto fa la proposta di matrimonio alla fidanzata. Da lì le nozze e il ritorno nel capoluogo berico, dove prima la coppia e poi la vedova gestiscono inizialmente un'osteria e successivamente un caffè. Tutto in una palazzina: sotto il locale, sopra l'abitazione e di fronte lo stadio. «Per i fratelli l'accesso al terreno di gioco con i coetanei è facilitato anche dal fatto che non c'è recinzione», annota Poggi, accompagnando i lettori in un nostalgico viaggio nello sport genuino di quegli anni eroici.

Le due ali, carriere separate 

Basti solo pensare all'antica denominazione dei ruoli: Umberto ala sinistra con il numero 11, Romeo ala destra con il numero 7. Giocano insieme solo nel campionato 1937/1938, con il Vicenza in serie C. Per il resto, due carriere separate. Prima giocatore e poi allenatore è quello che diventerà per tutti il sior Berto, come ricorda l'autore: appunto Vicenza, dove sarà mister per vent'anni fra la gloriosa prima squadra e il blasonato settore giovanile, ma fra le altre anche Padova, Milan, Napoli, Juventus.
Il suo racconto del battesimo bianconero, nel 1935, dopo quasi un secolo mette ancora tenerezza: «All'uscita dal sottopassaggio le gambe presero a tremarmi. E tremavo soprattutto al pensiero di dover sostituire il grande Orsi e temevo di non farcela proprio. Vicino a me c'era Luisito Monti che si accorse subito del mio stato d'animo; mi mise un braccio attorno alle spalle e mi disse: Berto, non pensare a niente e vedrai che tutto andrà bene. Mi sentii tutto rinfrancato e feci una grande partita; segnai anche un goal e ne feci segnare altri due. Vincemmo per 4-0 e l'esordio era superato. Ma quanta fifa all'inizio».

La fatal Torino

Torino è la destinazione anche di Meo, ma sulla sponda granata. Romeo ci arriva per la prima volta nel 1941 dalla Fiorentina, con un'operazione che porta nelle casse sociali viola «ben 300.000 lire, quasi quattro volte e mezzo il prezzo pagato tre anni prima al Vicenza», fa i conti Poggi, descrivendolo come la migliore ala destra del Dopoguerra: «Rigorista infallibile o quasi (un solo errore su sei tiri dal dischetto), specialista sulle punizioni, uomo-assist: non ce ne sono molti come lui in Italia». Nelle 232 pagine del libro vengono riepilogati con dovizia di particolari tutti i campionati, gli incontri, i risultati, i gol. Inevitabilmente però a spiccare fra tutti è l'ultimo della sua carriera: la terza rete del Toro, segnata su rigore, nell'amichevole a Lisbona che il Benfica vince 4 a 3. Doveva essere una festa per l'addio al calcio del lusitano Francisco Ferreira, invece è la tragedia per la strage degli Invincibili, la leggendaria squadra dei veneti di nascita o di adozione come il capitano Valentino Mazzola che aveva fatto il militare in Marina a Venezia, i fratelli Aldo e Dino Ballarin tuttora celebrati a Chioggia, Virgilio Maroso a cui verrà dedicato il campo sportivo di Marostica ed appunto Romeo Menti a cui sarà intitolato lo stadio di Vicenza.
Muoiono tutti, ed in totale sono 31 le vittime, durante il viaggio di ritorno: alle 17.03 del 4 maggio 1949, il trimotore Fiat G.212 delle Aviolinee Italiane si schianta nella nebbia di Superga.

Superga e quel distintivo viola

L'ex commissario tecnico Vittorio Pozzo collabora al riconoscimento dei giocatori e individua la salma di Meo da un particolare: il distintivo della Fiorentina, la sua squadra del cuore, sul risvolto della giacca. Meo spira nemmeno 30enne e viene sepolto nel cimitero monumentale della Misericordia dell'Antella, alle porte di Firenze. Berto si spegne 85enne nel 2002, a cent'anni dalla fondazione dell'amato Vicenza, città dove riposano le sue spoglie. Due fratelli e ora un riconoscimento: il premio Romeo&Umberto Menti, destinato ai migliori giocatori, tecnici e dirigenti dei settori giovanili delle società calcistiche vicentine.

Ultimo aggiornamento: 12:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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