Carlo, il pompiere in dialisi che lottò per salvare la Fenice dalle fiamme: «Due anni dopo mi arrivò in dono un rene»

Venerdì 7 Luglio 2023 di Silvia Quaranta
Carlo Menin e la moglie

PADOVA - La sera del 27 gennaio 1996 Carlo Menin, vigile del fuoco di Fossò (Venezia), stava tornando a casa dopo la dialisi. Soffriva di problemi ai reni già da anni ma conviveva con la malattia con determinazione e forza d'animo. Quella sera, a Venezia, scoppiò un incendio rimasto nella storia: il rogo del teatro La Fenice, che in poche ore ridusse in cenere il tempio della lirica. Menin, che era caposervizio, a casa ci arrivò molto più tardi del previsto. Dopo la terapia riprese in mano la divisa e scese in campo per coordinare le operazioni, dando un contributo fondamentale al lavoro dei colleghi.
Il suo stato di salute era già compromesso, ma la forza di volontà fa miracoli. Una sera di due anni dopo, quasi esatti, in casa Menin squillò il telefono: era arrivato un rene per il trapianto. La mattina del 27 giugno del '98, a Padova, entrò in sala per l'operazione che gli cambiò la vita. Ultimo di cinque figli, a Menin è stato diagnosticato il rene policistico quando aveva poco più di trent'anni.

Dei suoi fratelli, altre tre condividevano questo destino e ora, dice lui, «stanno tutti lassù». Perché non tutti ce la fanno, nemmeno tra chi riesce ad accedere al trapianto. L'ex pompiere è nel numero dei pazienti che hanno superato il controllo a 25 anni dall'intervento: un successo tanto per la chirurgia padovana, che festeggia un eccellente risultato a lungo termine, quanto per il signor Menin e tutta la sua famiglia. A partire dalla figlia Sonia che nel frattempo è diventata mamma a sua volta.

IL BILANCIO
Nell'ambito dei trapianti, Padova vanta un primato nazionale pressoché assoluto: nel 2022 gli interventi sono stati 3.876, il numero più alto d'Italia. L'ospedale padovano è primo per numero di trapianti di rene, pancreas e polmone, secondo per quelli di cuore e di fegato. E i numeri vanno crescendo di anno in anno. Tanto che oggi l'esigenza è soprattutto quella di investire sulla parte di "follow up", ovvero dei controlli successivi al trapianto. «Gli interventi sono aumentati in modo quasi esponenziale - ricorda il professor Paolo Rigotti, direttore della Chirurgia di Rene e Pancreas - e fortunatamente vanno bene, ma questo significa che le persone vanno seguite anche dopo, con ambulatori e personale dedicati. Il nostro auspicio è che le strutture vengano adeguate alle necessità».

L'ESPERIENZA
La stessa famiglia del signor Menin ha sperimentato tutta l'eccellenza, ma anche tutte le criticità della sanità locale. «Dopo l'intervento racconta l'ex vigile del fuoco di patologie ne ho avute tante. Il periodo peggiore l'ho passato due anni fa, a causa di un'infezione alle cisti epatiche. Serviva un intervento, ma l'attesa sembrava infinita». «Lo portavo ogni mattina a fare l'antibiotico in vena, a Dolo - aggiunge la moglie - ma aveva febbri altissime, sembrava più morto che vivo. Un giorno sono arrivata a Padova e mi sono ripromessa che non sarei andata via senza un appuntamento: ero pronta ad incatenarmi e a farmi portare via dai carabinieri». Ancora una volta, la forza di volontà fa miracoli: l'appuntamento arrivò e l'intervento è stato un successo.

Oggi Carlo Menin ha 75 anni e conduce una vita semi-normale: «oltre alle terapie qualche accortezza ci vuole - racconta - un liquore non so neanche cosa sia, ma la mia pizza e la mia birra me le godo eccome».
A festeggiare con lui, ieri, è arrivata anche l'assessora regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, che ha ricordato l'importanza della cultura del dono: «lo staff di professionisti d'eccezione è un valore aggiunto enorme ha detto ma senza donatori i trapianti non sarebbero possibili». E proprio all'anonimo donatore che ha cambiato la vita del signor Menin, la figlia Sonia ha rivolto un grazie simbolico, con una rosa bianca dedicata a tutti i donatori silenziosi: «questa persona è con noi da 25 anni: ringrazio lei e tutte le persone che ogni giorno donando, permettono ad altri di continuare a vivere».
 

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