Nonno Remo sconfigge il Covid a 83 anni dopo ben 101 giorni in ospedale: «Mi no' moro»

Mercoledì 22 Luglio 2020 di Davide Tamiello
Nonno Remo sconfigge il Covid a 83 anni dopo ben 101 giorni in ospedale: «Mi no' moro»

MARGHERA - «Mi no moro». L’aveva detto in tempi non sospetti, subito dopo la diagnosi, forse più per scaramanzia che per ostentare sicurezza. Anche perché quando aveva capito che i medici lo stavano intubando, qualche pesante dubbio l’aveva avuto eccome. Alla fine, però, ha avuto ragione lui: Fernando Scevola (per tutti “Remo”), 83 anni, ha sconfitto il Covid. Una lunga guerra attraverso tutte le fasi peggiori del virus: dal contagio al ricovero, dal trasferimento in terapia intensiva al coma farmacologico fino alla riabilitazione e alla dimissione.



Una lotta lunga 101 giorni che si concluderà ufficialmente questa mattina, quando l’anziano tornerà finalmente nella sua casa di Marghera, in via dei Cipressi. Ad attenderlo ci saranno figli, nipoti, generi e nuore che hanno aspettato tre mesi per poterlo finalmente rivedere. 
Il virus maledetto, Remo, l’ha preso in ospedale. In aprile, per curare la flebite, si fa ricoverare all’Angelo. Qui, i medici, però, per abbassare i rischi di contagio, in piena emergenza, lo trasferiscono al policlinico San Marco. «Però ci hanno detto che il Covid l’ha contratto proprio al policlinico - racconta il genero, Riccardo Lucetti - a quel punto Remo è stato spostato a Dolo». È il giorno di Pasqua: con l’83enne, il virus assume la sua forma più aggressiva. Remo finisce in terapia intensiva. 
«Quello è il momento in cui ci ha raccontato di avere avuto più paura - continua Lucetti - i medici gli hanno detto: “Signor Scevola, ora la dobbiamo salutare perché la dobbiamo intubare”. Ha temuto che da quel sonno non si sarebbe più svegliato». Chiude gli occhi e inizia il coma farmacologico: e a lui, che ha passato una vita a lavorare in fabbrica per realizzare i lampadari, il buio proprio non piace. Passano i giorni, Remo è in ospedale da solo. Non si possono organizzare le visite, è costretto a combattere quel male vigliacco da solo. «Non aspettatevi niente, preparatevi al peggio»: l’avvertimento dei medici di Dolo è una spada di Damocle sui suoi famigliari, che a distanza possono solo seguire a distanza il suo decorso ospedaliero. 
Ma il corpo di Remo reagisce e coglie tutti di sorpresa: il virus arretra, i polmoni un po’ alla volta riprendono la loro forma. Dopo 25 giorni gli viene tolto il tubo: Scevola ricomincia a respirare da solo, in autonomia. Un mese fa, un nuovo trasferimento, questa volta a Motta di Livenza per iniziare la riabilitazione. «I medici ci hanno detto di essere rimasti spiazzati dalla sua ripresa - commenta il genero - parla, capisce, si ricorda tutto. Quando si è svegliato ha chiesto dove fossero occhiali e catenina d’oro che aveva consegnato il giorno prima di essere intubato. È come se fosse rimasto in “pausa” per un mese».
Oggi finalmente tornerà a casa. «Ce lo dice da giorni: “Sono stufo di stare in ospedale, voglio stare a casa, voglio una festa, voglio un sacco di gente intorno”».

Non facilissimo, in regime di distanziamento sociale, ma la famiglia ce la metterà tutta per esaudire questo suo desiderio (pur con tutte le precauzioni del caso) con un’accoglienza degna della sua impresa. 

Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 00:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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