Ottavio Missoni, cento anni di una vita a colori: da campione dello sport a maestro della moda

Giovedì 11 Febbraio 2021 di Edoardo Pittalis
Ottavio Missoni insieme con la figlia Angela (sinistra), la moglie Rosita e la nipote Margherita (a destra)

Il suo secolo Ottavio Missoni l'ha vissuto di corsa, allenato a superare gli ostacoli. Da solo ha scritto un pezzo di storia italiana: atleta, soldato, esule, attore, stilista, artista Oggi, 11 febbraio, avrebbe compiuto 100 anni. Ricorda la figlia Angela: «Qualcuno mi chiede cosa avrebbe detto adesso papà. Per gli 85 anni mi confessò: Sono entrato nell'ottantacinquesimo anno di età e non ci vedo niente di buono. Ecco, credo che ripeterebbe che non ci vede niente di buono». Ottavio Missoni era nato a Ragusa e cresciuto a Zara che aveva dovuta lasciare due volte: da bambino e, poi, da esule.

Diceva: «Gli emigranti hanno sempre nel loro sogno di poter ritornare al loro paese, alla loro terra d'origine, ma io non posso permettermelo perché la mia Zara non c'è più, è stata cancellata dalle bombe: le persone, l'osteria, gli amici». Veniva da una famiglia di magistrati anche se il padre aveva preferito fare l'uomo de mar, il capitano di marina.

LA GIOVENTÙ Più atleta che studente, passa dai 400 piani ai 400 a ostacoli. A sedici anni è già in Nazionale e nel giro di pista all'Arena di Milano, correndo sotto i 49, batte il primatista mondiale degli 800, l'americano Elroy Robinson. Fa in tempo a laurearsi campione del mondo studentesco a Vienna nel 1939 e l'anno dopo è in guerra, sul fronte africano. Nel 1941 è tra gli italiani che resistono a El Alamein, lo fanno prigioniero gli inglesi e per quattro anni, come gli piaceva dire, sarà ospite di Sua Maestà Britannica in Egitto. Rientra in Italia nel '46, le terre dove è nato e cresciuto ora sono della Jugoslavia di Tito e la stessa Trieste è divisa in zone controllate dalle truppe di occupazione. Lui riprende a gareggiare, la guerra gli ha rubato gli anni migliori, ma resta l'ostacolista di punta della squadra italiana per le Olimpiadi di Londra del 1948. Si presta come secondo frazionista della staffetta 4x400 piani che va in finale ma non arriva al traguardo. Nella sua specialità arriva in finale, è tra i sei più forti del mondo: nel film sulle Olimpiadi c'è il suo arrivo. A Londra conosce la futura moglie, Rosita Jelmini, che viene da una famiglia varesina di fabbricanti di tessuti. Due anni dopo per un soffio non è sul podio agli Europei di Bruxelles, decide il fotofinish.

LA GAVETTA Il trentenne Ottavio sfrutta il suo fascino e il suo talento. È attore di buon successo di fotoromanzi che sono il cinema dei poveri, disegna maglioni per il laboratorio che ha aperto a Trieste con un amico, il discobolo Giorgio Oberweger. Il socio è stato un grande atleta, bronzo ai Giochi di Berlino nel 1936, asso dell'aviazione in guerra, allenatore a Londra di Consolini e Tosi, medaglia d'oro e d'argento. Col matrimonio, nel 1953, Missoni si trasferisce in Lombardia. Nascono tre figli in quattro anni: Vittorio, Luca e Angela. Nella casa-laboratorio di Sumirago, in provincia di Varese, inizia l'avventura che farà dei Missoni i protagonisti della moda italiana e gli ambasciatori del made in Italy nel mondo. In tre anni, in piena contestazione giovanile, sfondano la porta della moda: la prima sfilata al Teatro Girolamo di Milano, la sfilata happening nel 1968 seguita dalla discussa presenza a Palazzo Pitti con una collezione innovativa. Firenze non li vuole più perché hanno osato far sfilare le modelle quasi senza biancheria intima, l'ambiente italiano della moda non si è accorto che a Parigi Yves Saint Laurent ha appena lanciato il nude-look.

LA CONQUISTA DEGLI USA Nel 1969 i Missoni invadono gli USA, conquistano con i loro abiti i grandi magazzini, aprono una boutique a New York. Lo stile è speciale, diverso dagli altri stilisti; certi modelli rompono gli schemi, con loro anche il patchwork diventa grande moda e i modelli di Ottavio vengono accostati all'opera d'arte. Arrivano l'Oscar della moda a Dallas e una mostra a Venezia, alla Galleria Navigli, in cui i tessuti sono esposti come quadri. Lui gioca a non prendersi sul serio: Io sono l'artista, ma la Rosita ha creato me. Intanto, i Missoni disegnano i costumi per una prima della Scala (Lucia di Lammermoor di Donizetti), e anche gli interni per un modello dell'Autobianchi, la popolare Y10.

IL RAPPORTO CON VENEZIA Ottavio accetta l'incarico onorario di sindaco del Libero Comune di Zara e lo mantiene per 20 anni. Un lavoro che svolge nel segno della pacificazione: riconoscimento dell'italianità, ma sempre nel rispetto della realtà. Nessuna nostalgia, nessuna concessione al revanchismo. Zara ha un posto speciale nel documentario col quale celebrano i Missoni, colonna sonora di Renzo Arbore, un cammeo di Dario Fo che recita un testo di Enzo Biagi. Tutti suoi amici. Muore nel maggio del 2013, a 92 anni. Se ne va schiacciato dalla tragedia: pochi mesi prima il figlio Vittorio era scomparso nel mare dell'arcipelago di Los Roques, al largo del Venezuela. L'aereo turistico sul quale viaggiava con la moglie e una coppia di amici era precipitato inabissandosi. Troveranno il relitto a giugno, con tutti i corpi all'interno. Una lunga vita quella di Ottavio rimasta sempre legata all'Adriatico e a Venezia, come ricorda la figlia Angela, 62 anni, che è alla guida dell'azienda Missoni che ricorda: «Aveva qui molti amici storici - racconta - A Venezia abbiamo dagli Anni '70 una casa dalla quale vediamo il Ponte dei Sospiri. Diceva: Questo è il posto più vicino dove si parla la mia lingua. Mamma sta valutando la possibilità di fare una mostra a Venezia a settembre su Ottavio e sui Missoni. Papà aveva conservato i disegni e i bozzetti dei suoi modelli dal 1950 in poi. Venezia è un po' l'altra nostra città, il mio compagno Bruno Ragazzi ha la madre veneziana. A Venezia c'è il Timoteo, una barca di 35 metri per otto, l'unica di quel tipo in laguna, gli ha fatto fare le vele con lo stemma di Zara con tre ghepardi. L'aveva visto per anni attraccato a Torcello andando a trovare l'amico Barba Bortolazzi e ha fatto di tutto per averlo. A Venezia abbiamo tanti amici; Carmela Cipriani con la quale ci conosciamo da più di trent'anni, Jane e Francesco Da Mosto. E attorno i Feluga, Giovanni Gregoletto, i nostri amici di vino. E la grande famiglia di Giannola Nonino».

IL LEGAME CON ZARA E poi c'è il legame con Zara. «Non ha mai dimenticato. - ricorda Angela - Abbiamo fatto vacanze in Dalmazia tutta la vita, dal 1962, appena è stato possibile; papà ha preso una cantina in affitto nell'isola di San Clemente, senza luce e senza acqua. Tutti là parlavano veneto, papà parlava anche croato. Siamo passati a Sebenico, la cittadina originaria di mia nonna, a Ragusa dove c'erano i cugini, quella di papà era una famiglia di magistrati. Ma non ci ha mai fatto passare per Zara. Mia madre ha adottato quel mare, il viaggio per iniziare i suoi novant'anni ha voluto farlo lì». Si passa poi al ricordo del padre. «Ci ha sempre passato questo suo sentimento di libertà, di non attaccamento ai valori materiali - aggiunge Angela -. Voleva che restassimo un'azienda a conduzione familiare e ci teneva a restare un artigiano. Per carattere gli pesavano le troppe responsabilità, un giorno di ha detto serio: Se non fosse stato per voi, avrei già buttato una bomba in quest'azienda. Lo definirei un anarchico liberale a carattere individuale. Era sempre avanti con la sua testa, riusciva a fare una sintesi immediata, riusciva a riconoscere le persone da lontano, spiegava di aver imparato negli anni di prigionia quando tutti erano nudi, tutti senza cappello. Mia madre era la tradizione e ha trovato in mio padre anche l'uomo che l'ha fatta crescere; lui ha trovato in lei le radici, la casa, il suo posto dove tornare. Mi hanno passato la guida dell'azienda semplicemente, perché dicevano che loro avevano altro da fare». C'è infine la serie tv Made in Italy. «All'inizio non volevo che qualcuno impersonasse i miei - ammette Angela -. Poi ho collaborato ai dialoghi perché fossero il più possibile veri». 

Ultimo aggiornamento: 14:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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