Venezia. Il «capitano» che ha ispirato Garrone: «Torturato e venduto perché non avevo soldi»

Giovedì 7 Settembre 2023 di Alda Vanzan
Ibrahima Lo

VENEZIA - Ibrahima Lo compirà a giorni 23 anni, ne aveva 16 quando, rimasto orfano, è fuggito dal Senegal, ha attraversato il deserto, è stato catturato dai libici finendo in un centro di detenzione dove ha assistito all'esecuzione di alcuni compagni di viaggio, riuscendo infine, dopo varie traversie, ad arrivare in Italia.

Ora vive e lavora a Venezia. Ed è un attivista di Mediterranea Saving Humans. Ieri era in Sala Grande a vedere Io Capitano.

La sua sembra la storia del film.
«Non ho guidato la barca, ma in gran parte lo è. Lo staff di Garrone mi ha contattato, ho raccontato tutto quello che mi è successo, hanno voluto anche il mio libro Pane e Acqua dove ho scritto tutto».

Perché è fuggito dal Senegal?
«Per poter studiare. Vivevo a Touba, città santa. Rimasto orfano, solo con una zia e una cugina, non avevo i soldi per pagare l'iscrizione a scuola, i libri, la mensa. Il mio sogno era, ed è, diventare un giornalista come Pape Alé Niang, raccontare come ha fatto lui cosa succede davvero in Africa, le ruberie dei governi, il popolo che non ha voce. Avevo 13 anni quando dissi a mio padre, ancora vivente, che volevo diventare come lui. "Sai cosa ti aspetta", mi disse. Lo sapevo: l'arresto. Pape Alé Niang è in carcere».

Quanto è durata la traversata del deserto?
«Nove giorni. Sono partito il 31 dicembre 2017. Poi sono stato catturato dai libici. E nel centro di detenzione ho visto tanti compagni di viaggio uccisi perché non davano il numero di telefono dei parenti cui chiedere i soldi del riscatto. É lì che servono i soldi: per uscire. Circa un migliaio di euro. Io sono stato torturato: le cicatrici che ho ancora sul corpo mi danno la forza per andare avanti, per questo collaboro con Mediterranea».

Come è riuscito ad arrivare in Italia?
«Non avevo i soldi per pagare, così sono stato venduto. Mi ha salvato un amico, sono riuscito a imbarcarmi. Tre giorni in mare, ci ha raccolti una Ong battente bandiera italiana».

La mèta era l'Italia?
«Italia, Germania, Spagna, qualsiasi paese dove potessi studiare».

È riuscito a studiare?
«Ho scritto un libro, il prossimo uscirà a dicembre e dovrebbe chiamarsi "Processo con la mia penna". Non sono ancora diventato un giornalista, ma la gente mi ascolta quando racconto cosa succede a chi cerca di emigrare. Sono stato a parlare anche al Parlamento Europeo, c'è in programma una iniziativa a Montecitorio».

Lo sa che molti sindaci sono in difficoltà per l'accoglienza o addirittura la rifiutano.
«È vero che l'Italia non può accogliere tutta l'Africa, ma c'è chi in Italia non vuole proprio fermarsi: per ragioni di lingua e quindi di inserimento più facile nella società e nel mondo del lavoro, tanti puntano su Francia e Germania».

Come giudica la politica straniera del nostro Governo?
«È sbagliato fare accordi con la Libia e con la Tunisia, sono loro che ti catturano in mare e che ti fanno partire. I guardiacostieri libici di giorno vestono la divisa dei buoni, ma di notte sono i trafficanti di esseri umani. Ti incarcerano e devi pagare per partire, se non hai i soldi vieni venduto».

La soluzione?
«I problemi si risolvono in Africa, smettendola di appoggiare i dittatori come quelli che abbiamo in Senegal, non bisogna dare soldi a paesi come la Libia». 

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