VENEZIA - «Le due firme sono sovrapponibili, quella lettera è un falso clamoroso». La grafologa veneziana Sara Cordella, docente di Metodologia e Grafologia Peritale e consulente in vari processi penali (e in varie inchieste giornalistiche della trasmissione "Chi l'ha visto"), non ci ha messo molto a smontare la pista inglese del caso Emanuela Orlandi.
Un colpo di scena clamoroso? Sembra proprio di no. Nei giorni scorsi l'inglese zoppicante con cui era stata scritta aveva destato più di qualche dubbio, ma l'analisi della grafologa sembra mettere decisamente una pietra tombale sull'ipotesi.
«Quella lettera puzzava di falso lontana un miglio - spiega Cordella - mi è bastato fare una breve ricerca per trovare online un documento firmato dallo stesso arcivescovo. Ho confrontato le due firme e si sovrappongono». Lo scritto a cui fa riferimento Cordella è una seconda lettera pubblicata dalla testata inglese "ChristianToday" nel 2016: da lì, secondo la grafologa, chi avrebbe creato lo scritto della pista londinese avrebbe preso la firma dell'arcivescovo.
CONFRONTO TECNICO
La prova regina sulla falsità di quella firma sta proprio in quella irreale perfezione. «Ci sono due principi nella grafologia: il primo è che nessuno è in grado di scrivere qualcosa nella stessa maniera di un altro, il secondo è che anche la medesima persona non riuscirà mai a replicare uno scritto identico a quello precedente. Nel momento in cui delle firme si sovrappongono, quindi, è evidente che non sono due grafie diverse ma è la stessa fotocopiata. In questo caso credo che banalmente chi ha creato quella lettera abbia tagliato e incollato con un programma di editing la firma del secondo documento per apporlo a quello della richiesta per Emanuela. Per questo possiamo dire che non è un lavoro professionale, ma una contraffazione a livello artigianale. Altro elemento è quella "intozzatura", un rilascio di nero, frutto di uno spasmo pressorio - continua - che si trova in entrambe le firme. È un dettaglio non replicabile. Motivo per cui possiamo affermare che siamo di fronte, senza ombra di dubbio, a un falso clamoroso». Cordella ha riportato le sue riflessioni anche in un post su Facebook. «Il caso Orlandi è così. Tanti dilettanti che ci provano, troppe casse di risonanza. Nel paese della bugia, la verità è una malattia».