Un 49enne ex atleta: "Io in ostaggio del Covid, fiatone e stanchezza"

Domenica 8 Novembre 2020 di Davide Tamiello
Il reparto di terapia intensiva a Dolo
1

«Che cosa mi ha lasciato il Covid? Il fiatone: salgo una rampa di scale e mi sembra di aver corso una maratona». E per Marco, 49 anni, operatore veneziano delle forze dell’ordine, fino a qualche mese fa la resistenza non era mai stata un problema. Ex atleta, sempre in forma, fisico piazzato, mai una sigaretta e pochi sgarri («a parte qualche dolce, a quello fatico davvero a dire di no»). Poi in quella giornata di primavera è cambiato tutto: il contagio del virus, sul posto di lavoro, e il ricovero in ospedale. Non è finito in terapia intensiva, Marco si è fermato esattamente allo step precedente. Qui, 17 giorni di ricovero, aspettando ogni giorno l’esito delle analisi e delle visite dei medici, attaccato a una mascherina a ossigeno. Poi il decorso lento, fino all’ultimo controllo di agosto, in cui le lastre hanno mostrato che i suoi polmoni si erano definitivamente liberati dall’infezione. Tutto dimenticato, quindi? Non proprio. Dopo il Covid non si torna come prima. Non subito, almeno. L’Ulss 3 Serenissima, che sta seguendo il post malattia con un ambulatorio specifico, ha individuato in una cinquantina di pazienti guariti patologie come paralisi della lingua, sindrome di Gulliain-Barré (una neurite centrale), compromissione respiratoria a lungo termine, insonnia, risveglio notturno improvviso, affaticabilità e ipossemia prolungata. Questi ultimi due sintomi, in particolare, riguardano anche chi non è stato in terapia intensiva. Questo a sottolineare il fatto che gli strascichi della malattia non sono necessariamente collegati alle forme più acute. E sono anche i sintomi che, per ora, hanno cambiato anche la vita di Marco. «Sì è qualcosa di molto simile a una stanchezza cronica. O più semplicemente mi sembra di essere meno forte di prima: ho il fiato corto dopo pochi passi in salita, quando provo a correre poi non ne parliamo. All’inizio, devo dire la verità, avevo dato la colpa ai due mesi passati inchiodato al letto d’ospedale. Poi, però, con il passare dei mesi, ho capito che evidentemente quei postumi erano legati a dell’altro». Passeranno? «Beh, mi auguro di sì. Spero di recuperare tutto quello che ho perso un po’ alla volta. Lo vedremo: risposte ancora non ce ne sono, stiamo studiando un po’ alla volta l’evoluzione di questo virus maledetto. Però, ripensando a quei giorni, devo dire che non mi posso lamentare, mi è andata decisamente bene».  Ha notato altri sintomi da quando è tornato a casa? «Direi di no. Da quando i parametri sono rientrati nella norma, il resto va bene. Appena sono tornato a casa, però, ero ricoperto di chiazze bianche e rosse: una qualche reazione ai farmaci della cura, presumo. Avevo prurito ovunque, avrei voluto staccarmi la pelle. Poi, una mattina, è passato tutto. Ah, e il peso». È dimagrito molto? «Non saprei quantificare con esattezza, ma direi una decina di chili. Nella fase più grave avevo i polmoni talmente occlusi dal virus che mi era passata anche la fame. Mi veniva la nausea solo a vederlo il cibo. Poi, in un secondo momento, la dieta ha iniziato a far parte della cura. Mi hanno spiegato che non si poteva rischiare che lo stomaco, riempiendosi, finisse per togliere spazio ai polmoni che, per guarire, avevano bisogno di espandersi. Avevo una fame tremenda, sognavo la pizza di notte. Quando sono uscito dall’ospedale, ho messo gli stessi vestiti che avevo lasciato lì per settimane, quelli con cui ero entrato. Non trovavo più il buco della cintura». Quanta paura in quei giorni? «Un po’. Tanta, anzi. Quando ti trovi lì ogni giorno ti aspetti che la situazione possa peggiorare. Mi hanno aiutato i messaggi e le telefonate dei colleghi, alcuni anche che non sentivo da anni. Devo dire che è stato un buon modo per non pensare a cosa stavo passando». Tra le forze dell’ordine sono stati diversi i focolai.
«Credo sia normale, per quante precauzioni si prendano siamo perennemente a contatto con la gente. È inevitabile che prima o poi qualcuno finisca per essere contagiato. Credo che finora però si siano limitati i danni al minimo». 
È andato a donare il plasma? «Ecco questa è l’unica cosa positiva.

Continuo ad avere una forte carica anticorpale e quindi sto continuando a donare il plasma. Da quando sono guarito sono già alla terza donazione. È bello pensare, per uno che fa il mio mestiere, che posso aiutare le persone anche con un’operazione così semplice».

Ultimo aggiornamento: 09:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci