UDINE - «Esplora l’affascinante appartamento di Dante e Amnita (sic ndr)!». E così fu che un nome (peraltro di ascendenza letteraria) pietra miliare nella storia del mecenatismo cittadino come quello di Aminta Flebus, fu trasformato sulla pagina Facebook del Comune di Udine in un appellativo che non sarebbe sfigurato nel cast di una telenovela sudamericana. Il paragone lo ha fatto la capogruppo della Lega Salvini Premier Fvg Francesca Laudicina, mai tenera con l’amministrazione retta da Alberto Felice De Toni, con una battuta delle sue.
«Mi sono accorta che sulla pagina Facebook dell’amministrazione comunale c’è questo errore, per cui hanno trasformato Aminta Flebus quasi in un’eroina di una serie brasiliana», spiegava ieri con una punta di ironia la capogruppo del Carroccio.
MECENATISMO
Un nome cruciale per il mecenatismo cittadino, quello di Aminta Flebus, cui si deve la cessione di Casa Cavazzini al Comune, oltre trent’anni fa, secondo le volontà testamentarie del marito Dante, come omaggio alla cultura. E così è stato, visto che oggi accoglie la Galleria d’arte moderna. Per andare ancor più vicino ai nostri giorni, nel 2021 l’amministrazione Fontanini, con l’allora assessore alla Cultura Fabrizio Cigolot, aveva accolto nel patrimonio comunale della collezione del Museo di arte moderna e contemporanea delle nuove opere frutto anche della generosità dei due coniugi. La signora Flebus, come aveva spiegato allora l’assessore, aveva lasciato alla sua morte un libretto di risparmio, con fondi destinati all’acquisto di “pezzi” artistici che ricordassero lei e suo marito Dante, morto nel 1987. Nata nel 1911 a Trieste da genitori friulani, Aminta (che doveva il nome - di una favola pastorale e di un personaggio, peraltro maschile, del Tasso - alla passione del padre per i classici), era stata l’ispiratrice della raccolta di opere d’arte (di Afro e Mirko, ma anche del pittore Cagli) e arredi preziosi che aveva reso unico, dopo il suo matrimonio con il commerciante di stoffe Dante, l’edificio di via Savorgnana, che oggi accoglie le collezioni museali udinesi. Dopo la morte del coniuge, avvenuta nel 1987, Aminta aveva donato l’immobile gioiello affacciato su via Savorgnana al Comune, per onorare la memoria del marito con un’opera duratura. Dopo un lungo e travagliato iter per la progettazione e i lavori, il complesso (in origine costituito da più palazzi vicini, di proprietà diverse, diventati del Comune in tempi diversi) è diventato Casa Cavazzini così come noi oggi la conosciamo.