TRIESTE - Martina Oppelli è morta in Svizzera questa mattina, 31 luglio. La 50enne triestina, affetta da sclerosi multipla da oltre 20 anni, ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito.
I «no» ricevuti in Italia e la decisione
Il 4 giugno Oppelli aveva ricevuto il terzo diniego da parte della Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina in merito alla verifica delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito. La donna è stata accompagnata in Svizzera da Claudio Stellari e Matteo D'Angelo, iscritti a Soccorso Civile, associazione per le disobbedienze civili sul fine vita di cui è rappresentante legale Marco Cappato.
Le ultime parole
«Ormai due anni fa mi appellai alla sentenza Cappato per poter accedere al cosiddetto suicidio assistito presso l'azienda sanitaria della mia Regione. Per ben tre volte mi è stato negato, benché io ne avessi il diritto, ma chissà, forse non abbastanza. Io non ho tempo per aspettare un quarto diniego, ma anche se fosse un assenso io ero allo stremo delle mie forze. Sono in Svizzera, sì, forse una fuga direte voi, no, è un ultimo viaggio». Ma perché, si chiede, «perché dobbiamo andare all'estero, perché dobbiamo pagare, anche affrontare dei viaggi assurdi? Io ho fatto un viaggio lunghissimo, è stato veramente uno sforzo titanico, ma l'ho fatto per avere una fine dignitosa alla mia sofferenza. Io non voglio che questo iter si ripeta per altre persone, non potete rimandarci sempre a settembre, perché ci sono urgenze più grandi».
«Sappiate che sono pienamente consapevole che esistono tragedie enormi, genocidi, terremoti, alluvioni - afferma Oppelli - e che magari la misera vita di una singola persona e la sua sofferenza appaiono troppo piccole in confronto a una guerra, ma il macrocosmo è fatto da infiniti microcosmi e ogni microcosmo ha un proprio dolore e ogni dolore è assoluto nel momento in cui viene vissuto e va rispettato». E sottolinea: «Anche noi abbiamo fatto di tutto per vivere, credetemi».
«Fate una legge che abbia un senso, una legge che tenga conto di ogni dolore possibile, che ci siano dei limiti, delle verifiche, ma non potete fare attendere due, tre anni prima di prendere una decisione. In questi ultimi due anni il mio corpo si è disgregato, io non ho più forza, perfino i comandi vocali non mi capiscono più. Ho anche il catetere vescicale». Ma «io non sono una macchina, sono un essere umano». «Adesso desidero morire dignitosamente». «Fate una legge sensata», insiste. «Mettiamo da parte le diatribe politiche, perché non esiste destra o sinistra o centro, siamo tutti esseri umani».