TREVISO Sono le 18,15 del pomeriggio quando il fax dell'ufficio del giudice dell'udienza preliminare Gianluigi Zulian riceve la comunicazione: «Chiedo il rinvio dell'udienza facendo valere il legittimo impedimento, sono risultato positivo al Coronavirus».
LA DECISIONE
Una scelta obbligata legata a una necessità medica. «In tutta coscienza - prosegue il legale di Consoli - penso che tutti i colleghi, il giudice per l'udienza preliminare, i cancellieri e le forze dell'ordine condivideranno questa mia scelta. Il virus ci sta mettendo a dura prova anche perché ciascuno di noi ritiene che il rischio di contrarlo riguardi gli altri ma non se stesso. Se si continua a pensare così la partita diventerà sempre più difficile e ardua da vincere». È quindi destinata a saltare l'udienza più blindata nella storia del Tribunale di Treviso, con oltre 100 avvocati in rappresentanza delle parti civili attesi nell'aula Assise e un rigido protocollo di sicurezza, dalla misurazione della temperatura all'entrata ai percorsi predeterminati, dal divieto d'ingresso ai cittadini non ancora parti offese riconosciute a quello per i praticanti. Insomma era tutto pronto, malgrado la pandemia in corso, per il primo dei capitoli giudiziari che vede coinvolto Consoli, colui che, secondo i pm Massimo De Bortoli e Gabriella Cama gestiva la banca come fosse una cosa sua. Ogni cosa veniva decisa da lui e chi non si atteneva alle sue decisioni veniva sostituito.
IL PROCESSO
L'ex amministratore delegato è accusato di aver comunicato a Bankitalia, tra il 2012 e il 2013, un patrimonio gonfiato, perché dai 2,3 miliardi dichiarati dovevano essere tolti 430 milioni di azioni baciate, 131 di accantonamenti su rischi aggiuntivi e ulteriori perdite su crediti per 1,1 miliardi, oltre a 600 milioni di euro in più di crediti in sofferenza. Se contabilizzati, il patrimonio da 2,3 miliardi sarebbe sceso a 613 milioni. Sulla ex popolare si era accentrato l'interesse degli ispettori della Banca d'Italia che avevano effettuato un accesso ai bilanci il 15 aprile e 9 agosto 2013, evidenziando come il valore delle azioni fosse incoerente con la situazione finanziaria della società e con il contesto economico. Consoli avrebbe insomma approfittato dell'insufficiente attività di controllo svolta dal Collegio dei Sindaci e dalla società incaricata della revisione dei bilanci, la PricewaterhouseCoopers. L'ex amministratore delegato poi, consapevole di questa situazione che ha portato danni ai sottoscrittori per oltre 107 milioni di euro, avrebbe allora indotto in errore le direzioni territoriali, funzionari e impiegati di banca, a cui spettava il compito della collocazione delle azioni. Intanto altri filoni d'indagine viaggiano su binari paralleli all'inchiesta madre. Un fascicolo è aperto per bancarotta, oltre a quello che ipotizza i reati di truffa e falso in bilancio a carico dei vertici della banca. Dal troncone che sarebbe dovuto essere oggetto della preliminare di sabato sono invece usciti l'ex presidente Flavio Trinca e i manager Mosè Faggiani e Stefano Bartolo.