Contrae l'epatite C con una trasfusione di sangue infetto: il Ministero della Salute condannato a pagare 45 anni dopo

Venerdì 2 Settembre 2022 di Mauro Favaro
Contrae l'epatite C con una trasfusione di sangue infetto: il Ministero della Salute condannato a pagare 45 anni dopo

TREVISO - Una trasfusione di sangue infetto gli aveva fatto contrarre l'epatite C. Era accaduto 45 anni fa, durante un'operazione per una peritonite eseguita nell'ospedale di Treviso. E adesso la Corte d'Appello di Venezia ha condannato il ministero della Salute a versargli un'indennità pari a circa 815 euro al mese.

Per tutta la vita. A breve, inoltre, si aprirà anche la causa per il risarcimento dei danni.


LA DIAGNOSI
L'uomo, residente a Roncade, all'epoca dell'intervento aveva poco più di 10 anni. Era stato ricoverato nel reparto di Chirurgia dell'ospedale Santa Maria dei Battuti di Treviso precisamente tra il luglio e l'agosto del 1977. Nel corso dell'intervento chirurgico era stato necessario sottoporlo ad alcune emotrasfusioni. Sembrava essere andato tutto per il meglio. A metà del 2012, però, l'ex paziente ha improvvisamente scoperto di essere positivo all'antigene Hcv, con diagnosi di epatopatia cronica correlata. Di seguito ha dovuto iniziare una specifica terapia antivirale per combattere un'infezione che nel 2013 risultava ancora attiva. E in tutto ciò non sono emerse altre possibili cause se non proprio quelle trasfusioni di sangue ricevute in sala operatoria 35 anni prima. La vicenda legale è iniziata qui.


LA BATTAGLIA
Dopo una lunga battaglia giudiziaria, tre anni fa l'uomo si era visto riconoscere dal Tribunale di Treviso il diritto all'indennizzo a carico dello Stato, ispirato al principio di solidarietà sociale, previsto per le persone che riportano gravi danni in conseguenza a determinati trattamenti sanitari ai quali si siano sottoposti. Il ministero della Salute, però, non l'ha mandata giù. E non ha pensato due volte a presentare ricorso in appello contro la sentenza emessa dai giudici trevigiani. Per quale motivo? Perché nel frattempo il virus dell'epatite C non risultava più attivo nell'uomo. Per il ministero, quindi, il malato era guarito. E quindi non aveva più diritto ad alcun tipo di assegno.


IL RICORSO
La Corte d'Appello di Venezia, però, l'ha pensata in modo diverso, dando ragione ancora una volta all'uomo, difeso fin dal primo grado dagli avvocati Marco Pescarollo di Treviso e Mary Corsi de L'Aquila. «È stato ritenuto fa il punto Pescarollo che l'epatite C, da cui è risultato affetto ha svolto la sua attività infiammatoria e necrotizzante dall'epoca del contagio, nel 1977, all'epoca del trattamento antivirale, nel 2014, per più di 35 anni. Anche se il virus non risulta più attivo nel soma, permane un danno epatico rilevabile con opportune metodiche diagnostiche». Aggiunge il legale: «È evidente che la valutazione sull'attuale condizione dell'uomo, ritenuto guarito dal ministero, e dunque non indennizzabile, non tiene conto dei concetti di danno futuro o danno da complicanza. L'epatite dopo più di 35 anni è guarita, ma il fegato rimane un organo danneggiato».


GLI IMPORTI
Su questa base, la Corte di Venezia ha rigettato l'appello e ha condannato il ministero della Salute a corrispondere al trevigiano un'indennità di circa 815 euro al mese, per tutta la vita. Compresa la relativa indennità integrativa speciale, calcolata fin da quando è stata presentata la domanda di indennizzo e rivalutata annualmente sulla base del tasso di inflazione. Oltre agli interessi. Più 5mila euro da versare per coprire le spese legali. E non è ancora finita. Adesso, infatti, si apre anche la strada per una causa per ottenere il risarcimento dei danni. Il legale del trevigiano ha già fatto sapere che gli atti verranno depositati a breve.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci