«Acqua, dopo il caso Pfas facciamo più controlli»

Lunedì 14 Marzo 2022 di Edoardo Pittalis
Stefano Della Sala e Monica Manto

Sotto la terra del Veneto si snodano 47 mila chilometri di rete idrica che ogni anno fanno scorrere nei nostri rubinetti un miliardo di metri cubi d'acqua potabile. Ogni veneto consuma 250 litri d'acqua al giorno; una famiglia di quattro persone mille litri, un metro cubo. Troppi? Forse, ma ogni volta che si tira lo sciacquone sono venti litri che se ne vanno. La metà dei consumi è assorbita da doccia e bagno, lavastoviglie e lavatrice. Gli italiani sono quelli che consumano più acqua potabile in Europa, 150 metri cubi per famiglia in un anno. Ma sono anche i maggiori consumatori di acqua minerale: 222 litri a testa. Ogni bicchiere d'acqua che beviamo in Veneto è certificato con tanto di firma.
Ce la mette uno dei 120 tecnici che lavorano per Viveracqua il consorzio che raggruppa i 12 gestori pubblici del Veneto e serve un bacino di 587 comuni, tutti quelli veneti e 24 friulani. Cinque milioni di cittadini per una società con 3000 addetti e da un miliardo di euro l'anno, in pratica un euro per ogni metro cubo d'acqua, e che da sola vale il 2% del Pil del Veneto. Al vertice siede una donna, Monica Manto, 54 anni, di Valdobbiadene, avvocato, presidente di Viveracqua e direttore generale di Acque Venete che ha la sede regionale a Monselice. Alla guida del Laboratorio c'è Stefano Della Sala, veneziano, 63 anni, medico, anche direttore del servizio idrico della Veritas.


Avvocato Manto come è arrivata in mezzo all'acqua?
«Dopo la laurea in legge a Padova, ho iniziato facendo l'avvocato amministrativista, poi mi sono dedicata allo sviluppo immobiliare in particolare delle zone industriali e commerciali.

Infine, ha prevalso la passione per tutto ciò che è azienda, e dopo una selezione del personale sono entrata in questo settore: dal 2010 mi occupo solo di acqua. Mi ricordo di aver imparato a leggere sul Gazzettino grazie a mio nonno Tranquillo che mi faceva sedere sulle sue ginocchia e commentava i titoli del giornale. Quanto all'acqua, c'erano i 12 gestori, ma sino ad allora ciascuno lavorava per conto suo. Con Fabio Trolese, che è stato il primo, abbiamo fatto crescere la rete e questo ci ha consentito di affrontare insieme sia emergenze sia sfide impensabili da soli. Anche il problema del Pfas nel 2013».


Dottor Della Sala cosa ci fa un medico nell'acqua?
«Nasco in malattie infettive, i miei maestri mi hanno insegnato l'approccio ad analisi dei dati che hanno tante forme. Sono in Veritas dal 2008, dopo aver lavorato 12 anni all'Igiene pubblica di Venezia sul controllo dell'acqua potabile e poi per l'Agenzia regionale di protezione dell'ambiente. Siamo sulla coda di una pandemia, noi siamo orgogliosi di essere la barriera al rischio che costantemente l'ambiente ci pone. La medicina si occupa di acqua: poco tempo fa l'autorevole British Medical Journal ha chiesto ai suoi abbonati quale fosse per loro la più grande scoperta della medicina negli ultimi 100 anni. La risposta è stata: la distribuzione dell'acqua potabile che ha salvato il più grande numero di vite umane. Tra i primi 10 killer mondiali in questo momento c'è l'acqua non potabile, uccide mezzo milione di bambini ogni anno. Noi viviamo fortunatamente in un luogo tutelato: la nostra acqua potrebbe essere imbottigliata». Il fenomeno Pfas è emerso nel Veneto nel 2013. Si tratta di sostanze Perfluoro Alchiliche, composti chimici usati industrialmente e senza controllo soprattutto negli Anni Cinquanta per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, tappeti, detergenti per la casa. Una ricerca del Cnr effettuata sul Po e sui fiumi maggiori aveva rilevato sostanze perfluoro anche in acque sotterranee e potabili. Acidi molto forti, risultati poi cancerogeni. Il Veneto è stato tra le prime regioni a registrare i danni da Pfas, specie tra i bambini.


Come avete superato il problema dei Pfas?
«Con tutti i nostri laboratori in rete ora siamo in grado di affrontare qualsiasi tipo di analisi specializzata sull'acqua. Per il Pfas siamo stati tra i primissimi in Italia: allora c'erano 20 laboratori e quasi tutti nel Veneto. Il tema del Pfas è stato un grande banco di prova con investimenti molto importanti, solo la macchina per analisi costa 300 mila euro. Abbiamo 120 tecnici altamente specializzati, produciamo un milione di analisi l'anno. L'acqua che esce dal rubinetto è analizzata molte volte al giorno, in laboratorio ogni giorno entrano 2000 campioni».


E oggi col Pfas come è la situazione?
«Siamo a norma, anzi la nostra è la norma più stretta che c'è in Italia. Tutto il lavoro ha garantito in tempo brevissimo ai veneti un'acqua priva di contaminazione, sul territorio funzionano 1200 impianti di depurazione. Trattiamo anche 470 milioni di metri cubi di acque reflue, più di quelle erogate. Solo quarant'anni fa erano previsti controlli su una quindicina di parametri, adesso solo per rendere sicura l'acqua del caffè abbiamo centinaia di parametri: dagli inquinanti emergenti alla microplastica, dalla legionella ai virus. Siamo in anticipo sulla normativa dell'Unione Europea».


Ma da dove arriva l'acqua veneta?
«Questa è una rete acquedottistica che parte dai monti e arriva a Venezia o nel Delta del Po. Confrontarsi quotidianamente ci ha consentito di progettare bene e di sostituire in velocità con altre fonti incontaminate il pozzo di Almisano, quello al centro della vicenda Pfas, che è un pozzo da 50 litri al secondo. Ma anche sull'emergenza Vaia siamo stati capaci di lavorare insieme. Per l'acqua del Veneto le fonti di approvvigionamento sono duemila: il 68%, la prendiamo dalle risorgive di fiume o di falda, una delle più importanti è a Carmignano di Brenta, poi il parco del Sile; il 23% viene da sorgenti; il 9% dai fiumi, potabilizziamo l'Adige e anche il Po».


C'è in Veneto un problema di scarsità d'acqua?
«Il Veneto spinge tantissimo sugli investimenti, 97 euro per abitante, il doppio rispetto alla media nazionale. Adeguare le reti e gli impianti e attuare un piano di sicurezza dell'acqua ci permette di anticipare problemi futuri e emergenze. Quest'inverno non ha nevicato e se continua a non piovere si può creare l'allerta per l'estate. I fiumi sono in magra e lo si vede, potrebbe essere necessario razionare e dare priorità ai fini idropotabili. Negli anni '90 c'era un'autobotte dei Vigili del Fuoco in piazza a Chioggia per rifornire l'ospedale. Non è più così, il nostro livello di resilienza è aumentato di almeno dieci volte».


C'è spreco nei consumi?
«Ci sono degli usi che possono essere fatti con acqua di diversa qualità, noi cerchiamo di lavorare perché tutta l'acqua che immettiamo in rete arrivi tutta ai rubinetti. Certo ci sono dispersioni, investiamo in nuove opere: meno danni, meno sprechi. Ci occupiamo come consorzio anche di oltre 21.500 chilometri di reti fognarie. L'obiettivo è restituire acqua pulita all'ambiente e questa è la parte sconosciuta del nostro lavoro. Quando tutto funziona bene nessuno se ne accorge».
-Il 22 marzo sarà la Giornata mondiale dell'acqua, l'ha decisa l'Onu nel 1993 per celebrare l'acqua e aumentare la consapevolezza dei 2 miliardi di persone che oggi non ne hanno. L'obiettivo è fornire acqua e servizi igienici per tutti entro il 2030. Impossibile farcela. Ma ognuno di noi può fare qualcosa. Quattro esempi: 1) usare acqua riciclata per innaffiare, in un anno una famiglia risparmia 6.000 litri d'acqua potabile; 2) lavarsi i denti a rubinetto chiuso, una famiglia di quattro persone risparmia 10.000 litri; 3) lavare le verdure lasciandole a mollo e poi risciacquarle velocemente, si risparmiano 4.500 litri; 4) lavatrice e lavastoviglie vanno usate sempre a pieno carico, altri 8.000 litri! Fate due conti: quasi 30 mila litri d'acqua all'anno risparmiati per famiglia. Sarebbe già un buon modo di guardare al futuro dei figli. Non guasta nemmeno uno sguardo alla bolletta.

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