LATISANA - Una vita spesa nella scuola e ora in pensione. Pierpaolo Sovran gli ultimi vent’anni li ha però trascorsi come precario.
IL RACCONTO
«Tutta l’esperienza teatrale e musicale – ha raccontato il professore delle medie – l’ho portata a scuola e gli allievi che partecipavano ai laboratori sono stati molto riconoscenti. In classe, invece, ho assistito al peggioramento del comportamento, le ultime generazioni mancano di rispetto ai docenti, le famiglie vedono i prof come balie, sarebbe bello che la scuola fosse come un teatro dove regna l’ascolto e la collaborazione, mentre spesso c’è confusione e un’intromissione dei genitori che contestano pure le note. Ho preferito, dunque, insegnare sostegno in quanto vi è un rapporto privilegiato con lo studente, mentre musica non viene vista come disciplina con interesse». La vita da precario non è in discesa. «Insegnare rimane bellissimo, ma i primi anni sono stati duri – fa sapere Sovran – l’attesa della supplenza equivaleva a forti tensioni, gradualmente aumentava il mio punteggio nelle graduatorie e vi era la sicurezza della chiamata. Ricordo che un anno arrivò la proposta di lavoro solo a gennaio e dovette sopperire mia moglie alle questioni contingenti. Non avendo figli è stato più sopportabile economicamente, con il lavoro precario una famiglia fatica a farcela».
I COLLEGHI
Il precario per gli studenti, le famiglie, i colleghi non viene visto come “diverso” rispetto al docente titolare di cattedra, ma le differenze si fanno sentire al 23 di ogni mese. «Gli insegnanti sono tutti uguali per la comunità scolastica, anzi le mansioni sono identiche anche gli incarichi aggiuntivi, ma la vera situazione dei precari è oscura alle famiglie, si tratta di un bel risparmio per lo Stato perché gli scatti di anzianità non corrono, i miei colleghi vanno in pensione con 3-400 euro in più, ma tutto questo subire viene accettato dai giovani che non si ribellano». Eppure, i concorsi ci sono stati, le abilitazioni avevano un prezzo che non tutti i precari si potevano permettere, per prepararsi ai concorsi era necessario spendere cifre importanti. «Siamo davanti ad una disonestà legalizzata – ribadisce Sovran – non mi sono adattato al sistema, l’ho dovuto subire. Ho cercato di far capire ai ragazzi l’autodeterminazione, dove sta la verità. Una volta si entrava con concorsi per titoli e servizi, poi si è complicato per favorire il precariato dell’università che non trovava collocazione negli atenei, a scapito dei professori esperti della scuola. In questi anni mi ritengo un battagliero, il sindacato Anief mi è stato vicino nei momenti difficili». Ora lo aspetta il mondo del teatro, la docenza al Conservatorio di Palermo, la sua barca e la canna da pesca. Il mondo della scuola come sistema non gli mancherà, mentre i ragazzi quelli volonterosi continueranno a far parte della sua vita.