La denuncia di un 70enne: «Vi racconto la sanità da un letto d'ospedale, cibo immangiabile e bisogni nel bidone»

La testimonianza di Marco Argento ricoverato al Santa Maria degli Angeli

Giovedì 5 Maggio 2022 di Susanna Salvador
Ospedale a Santa Maria degli Angeli a Pordenone
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PORDENONE - La voce non è alterata mentre racconta il suo ricovero di sei giorni all'ospedale Santa Maria Degli Angeli. Anche se il tono si alza improvvisamente quando ricorda qualcosa di spiacevole che «non dovrebbe accadere nel 2022». Marco Argento ha 70 anni, due lauree (una delle quali in Giurisprudenza) e la sanità la conosce bene, soprattutto quella pordenonese, perchè ha problemi polmonari che lo costringono a tenersi sotto costante controllo, a usare l'ossigeno e a fare terapia riabilitativa. «Quando nel 2011 sono arrivato da Terni a Pordenone, nel reparto di Pneumologia, ho trovato un vero e proprio fiore all'occhiello».

Cita i nomi dei medici che lo hanno seguito, «quando dicevo che ero in cura a Pordenone mi rispondevano che ero fortunato», fotografa un reparto dei tempi andati dove non si dovevano fare i conti con la quotidiana carenza di medici, di infermieri e di oss. Quando insomma il Santa Maria degli Angeli poteva contare su professionalità tante e tali da poter fare squadra.


L'ARRIVO
Argento si deve recare a Motta di Livenza per la fisioterapia legata alla respirazione. Un percorso che ha fatto anche prima di Pasqua, ma il 29 marzo il tampone molecolare ha dato esito positivo per il Covid. Il 70enne è stato così portato da Motta al Pronto soccorso dell'ospedale di Pordenone. «Ho aspettato dalle 8.30 alle 19 prima che mi portassero in reparto - dice Argento - e in quelle lunghe ore di attesa non mi hanno dato né acqua né cibo. Quando sono salito in camera era tardi per la cena, così ho digiunato fino al mattino dopo. Mi hanno fatto subito una flebo e il medico mi ha detto che entro 3,4 giorni mi avrebbero dimesso anche se positivo, perchè non stavo male». Una stanza per due pazienti, quella in cui è ricoverato in Medicina Covid e 24 ore dopo il suo compagno di camera muore e «io sono stato dalle 4 di notte a mezzogiorno con quel corpo senza vita sul letto accanto al mio, coperto da un lenzuolo, prima che lo portassero via». Un brutto film. Il pomeriggio c'è un altro ricovero (mediamente solo la notte sono da 5 a 8 nel Reparto di Medicina dove i posti letto sono 98 ma i pazienti 135 e dove mancano due medici e altrettanti infermieri sia al 2° che al 3° piano, senza contare quelli in materità o malattia), ed è l'anziano che morirà dopo tre settimane di pellegrinaggio dall'ospedale alla Rsa di Maniago. Lo stesso che la figlia accusa sia morto per disidratazione, anche se le cartelle cliniche raccontano che quando è uscito dal Santa Maria degli Angeli le sue condizioni erano buone.


CIBO E IGIENE
«Il cibo era immangiabile - prosegue Argento -, tanto che io rimandavo indietro tutto e il mio vicino, che da solo non poteva nutrirsi, anche. Ma nessuno ha mai chiesto come mai i vassoi tornavano indietro pieni». Pranzi e cene sono forniti da una ditta esterna, perchè in ospedale da tempo non c'è più la mensa. «E assicuro che nella stanza non ci sono sedie o tavolini, non c'è neppure il bagno. Così sia per l'ossigeno che per questioni strutturali mi davano il pappagallo o la sedia a comoda, poi svuotavano il contenuto in un recipiente che si trovava all'interno della stanza e ripulivano solo la mattina». Compiti che, va rimarcato, non spettano al personale medico o infermieristico. «Gli oss portavano i vassoi e basta - ribadisce -, senza dire o chiedere niente. E poi tornavano solo per riprenderli, sempre pieni». L'amarezza non è un sentimento che Argento nasconde quando il suo racconto diventa una denuncia: «Manca tutto... ma soprattutto manca la volontà di fare qualcosa come se si fossero tutti arresi. Manca spesso l'aspetto umano. E poi certe cose nel 2022 non dovrebbero succedere». Lavorare in un reparto Covid significa sottostare a continue pressioni, a turni che non finiscono mai e che spesso si allungano per fare le telefonate ai parenti che, non potendo entrare in ospedale, attendono di sapere come sta il papà, la mamma, il nonno o lo zio. Significa scontrasi ogni giorno con la malattia resa più grave dalla solitudine.

 

Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 18:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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