Coronavirus, ospedali paralizzati e pazienti guariti "parcheggiati" nei reparti: ecco perché mancano i posti

Giovedì 10 Dicembre 2020 di Marco Agrusti
Una Terapia intensiva Covid

PORDENONE E UDINE - «Abbiamo passato un fine settimana lungo (comprensivo del ponte dell’8 dicembre, ndr) da incubo». La voce arriva dall’ospedale di Pordenone, ma è come un nastro registrato il cui contenuto potrebbe essere riferito anche alla situazione che si sta vivendo in corsia a Udine. Il sistema sanitario regionale si avvicina al picco dei ricoveri causati dal Covid (l’apice della curva è previsto tra domani e dopodomani) e con i letti dedicati quasi tutti esauriti vive le ore peggiori. E si scopre fragile anche in uscita, non solo in entrata. Proprio durante il ponte dell’Immacolata, infatti, si è assistito a un fenomeno che ha di fatto mandato in blackout il sistema ospedaliero: il blocco pressoché totale delle dimissioni verso le case di riposo e le Rsa. Risultato? Nonostante la pressione in ingresso sia leggermente diminuita, si è creato un “tappo” che ha avuto ripercussioni sia sui reparti (Covid e non) che sui Pronto soccorso. 
IL NODO
Il problema lo si avverte sia in provincia di Pordenone che nell’area udinese: «Durante il fine settimana - spiegano dall’ospedale più grande del Friuli Occidentale - è praticamente impossibile dimettere un paziente diretto verso le case di riposo o le Rsa».

Si parla di persone totalmente guarite, con un doppio tampone molecolare negativo in caso di Covid oppure di pazienti che non riportano più sintomi legati ad altre patologie e soprattutto tali da giustificare la permanenza in ospedale. Eppure è lì che rimangono: guariti ma “parcheggiati”, in attesa di essere ricevuti dalle strutture intermedie del territorio. Una “sosta” che nei normali fine settimana causa la permanenza dei pazienti in corsia per due-tre giorni, ma che in corrispondenza del ponte appena trascorso si è tradotta in un corto circuito nel momento peggiore. Solo in ospedale a Pordenone, l’8 dicembre sono stati registrati 20 accessi, tra pazienti Covid e non, mentre le dimissioni non hanno superato le cinque unità. E almeno altri dieci pazienti erano già nelle condizioni tali da poter lasciare i reparti per far posto ad altre persone. Ma non è stato possibile: «E siamo stati costretti a “inventare” dei posti letto», è la testimonianza che arriva dalle corsie del Santa Maria degli Angeli. Stessa situazione a Udine, dove il Pronto soccorso si è di nuovo intasato. Il motivo alla base della lentezza che caratterizza il processo di dimissione dei pazienti verso le case di riposo e le Rsa è da ricercare in una cronica mancanza di personale. Nei giorni festivi e pre-festivi, infatti, in quasi tutte le residenze protette manca il medico di riferimento, e le direzioni delle strutture non accettano pazienti “di ritorno” in assenza del professionista incaricato di monitorare il loro stato di salute successivo alla dimissione. «E spesso - è la testimonianza che arriva dagli ospedali - dimettere un paziente verso una residenza protetta è molto complicato anche di venerdì». Cioè in un normale giorno feriale che però precede un pre-festivo. È anche così che il sistema si blocca, perché in piena seconda ondata il ricambio dei posti letto sarebbe fondamentale. Un problema simile viene rilevato anche nelle Rsa Covid che fungono da strutture intermedie tra gli ospedali e il ritorno a casa dei pazienti. In quel caso sono le famiglie che, spaventate, temono il rientro a domicilio del paziente ormai negativizzato. E quindi anche nei reparti “di sfogo” il turnover risulta fortemente rallentato. 

Ultimo aggiornamento: 08:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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