PADOVA - Giotto, solitario, è lì che aspetta dal 1996 nella tentativ list. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Un gioiello, un capolavoro, ma troppo piccolo e troppo poco inserito in un contesto per diventare patrimonio mondiale dell’Umanità. C’è voluto lo sforzo congiunto delle forze politiche, istituzionali e associative della città per portare il pittore fiorentino alla soglia della “vittoria” in un contesto molto più ampio e articolato, destinato a fare di Padova - se tutto andrà per il verso giusto - un unicum nel panorama artistico del pianeta. Quel Trecento dipinto che ha segnato un intero secolo di arte padovana: dopo di lui, Giusto de’ Menabuoi, Guariento, Jacopo Avanzi, Altichieri da Zevio, Jacopo da Verona. Una vera “scuola” che ha segnato il Trecento artistico cittadino sotto il segno della dinastia Carrarese, quella combinazione irripetibile che oggi, con emozione e trepidazione dei protagonisti della lunga avventura, attende il “verdetto” della 44. sessione del Comitato internazionale dell’Unesco, riunita a Fuzhou, in Cina.
L’ATTESA
La vigilia è fatta un po’ di dita incrociate e sana scaramanzia.
Ma è tutto il team “Urbs Picta” ad essere in fibrillazione, anche se l’assessore alla cultura Andrea Colasio, infaticabile fautore della candidatura, ostenta una certa calma. «Credo che siamo a un punto di svolta, ma non mi piace sbilanciarmi. So solo che il riconoscimento Unesco risanerebbe una ferita durata almeno due secoli, da quell’Ottocento in cui si volevano vendere gli affreschi di Giotto, fare un carcere all’Oratorio di San Giorgio e un patronato in quello di San Michele. Se vogliamo andare più indietro, il riconoscimento ricostruirebbe quell’identità ferita fin dal 1405 con la caduta della dinastia Carrarese».
LA PROPOSTA
Gli otto siti affrescati (Cappella degli Scrovegni, Chiesa degli Eremitani, Palazzo della Ragione, Cappella della Reggia Carrarese, Battistero della Cattedrale, Basilica e convento del Santo e per finire i due Oratori di San Giorgio e di San Michele) rappresentano la cultura e l’arte della Padova del Trecento, ma anche la sua spiritualità. «La Diocesi e il suo Battistero, insieme al Museo Diocesano - dice monsignor Giuliano Zatti, vicario vescovile - sono un volano per il turismo non solo laico. Quello che noi proponiamo, con la Basilica del Santo, è un percorso fatto di spiritualità, che ci auguriamo parli anche alla coscienza dei cristiani».
L’Urbs Picta, con i suoi capolavori sparsi per 1700 metri lineari in città, dovrebbe portare da 200 a 300mila turisti in più ogni anno. Se la Cappella degli Scrovegni è praticamente in costante overbooking, la sfida del riconoscimento Unesco è attrarre e distribuire i flussi nei vari luoghi della città, Una sfida che, ammesso che arrivi l’atteso “sigillo”, andrà vinta sopratutto sulla lunga distanza, preservando e promuovendo quanto andrà ufficialmente sotto la denominazione “Giotto’s Scrovegni Chapel and Padua’s foutrteeth-century fresco cycles”. Per tutti ormai l’ambita Urbs Picta.