Un anno di pandemia, il prefetto Franceschelli: «Il momento più duro? La gestione della zona rossa»

Domenica 21 Febbraio 2021 di Gabriele Pipia
La "chiusura" totale di Vo' Euganeo un anno fa è stata l'esperienza più terribile nel ricordo del prefetto di Padova Franceschelli

PADOVA - «Se arriva un terremoto bisogna mettersi a scavare sotto le macerie. Se arriva un’alluvione bisogna portare i sacchi di sabbia sull’argine. Ma quando arriva una pandemia come ci si comporta? È tutto da inventare». Seduto alla scrivania di Palazzo Santo Stefano, il prefetto Renato Franceschelli ripercorre quel venerdì di un anno fa e intanto sfoglia le pagine di una tesina scritta da un giovane stagista. «Questo ragazzo ha fatto un lavoro molto accurato sui giorni dell’emergenza. Era appena arrivato, era alla prima esperienza. Quando mai avrebbe immaginato di trovarsi travolto da tutto ciò?»
Prefetto, è stato l’anno più difficile della sua carriera?
«È stato sicuramente l’anno più strano, ci siamo trovati davanti qualcosa di inimmaginabile».
Torniamo ai primi giorni del 2020. C’era preoccupazione?
«Ricevevamo le informazioni sul virus ed eravamo attenti al tema del rientro dei cinesi dal loro Capodanno, ma non c’erano segnali di grande allarme. La dimostrazione è che il 7 febbraio c’erano quattromila persone ad accogliere il Presidente della Repubblica in Fiera».
Alle ore 16 del 21 febbraio, però, cambia tutto.
«Mi chiama la direzione dell’Ulss e segnala che a Schiavonia ci sono due pazienti positivi. Poco dopo il presidente Zaia apre l’unità di crisi nella sede di via Scrovegni. In sala siamo dieci persone, vicine e senza mascherine. Oggi sarebbe impensabile».
Quali sono le prime decisioni?
«L’ospedale di Schiavonia viene cinturato, poi all’interno scattano i tamponi a tutti. Viene stabilito anche di montare le tende agli ingressi. Ma l’allarme riguarda pure Vo’. Con una prima ordinanza il sindaco chiude le scuole e le attività commerciali».
Con una situazione simile si riesce a dormire la notte?
«Siamo educati e istruiti per gestire le emergenze. Venticinque anni fa da capo di gabinetto della prefettura di Lucca mi ero trovato a gestire l’alluvione in Versilia. Ma questa situazione è di sicuro unica nel suo genere».
Il 22 febbraio il ministro Speranza firma il decreto: Vo’ diventa zona rossa.
«L’impegno più grande è stato far arrivare i rifornimenti alla popolazione chiusa all’interno dei confini e garantire l’apertura di alcune attività essenziali come i supermercati. La gestione della zona rossa è stato il momento più duro».
Poche settimane dopo arriva il lockdown totale.
«Vedere una città spettralmente vuota è stato impressionante. Di quei giorni ricordo che i padovani hanno risposto con grande serietà. L’impegno del volontariato, soprattutto al servizio delle persone anziane sole, è stato meraviglioso».
Dal punto di vista personale, come ha vissuto la paura del virus?
«Due miei cari amici sono stati tra i primi ad essere colpiti, poi per fortuna è andato tutto bene. A tutti mancano abbracci e strette di mano. Mi auguro che ce lo ricorderemo: socialità e solidarietà sono valori importanti, non sono scontati».
Nel frattempo, a maggio, venite sommersi dalle richieste di autorizzazioni presentate dalle aziende che chiedono di lavorare.
«Sono state 8.500. Ogni giorno ognuno di noi aveva il proprio pacco di istanze. Qui in prefettura c’era anche un gruppo di persone che si occupava solo di rispondere al telefono. Arrivavano quesiti di ogni genere».
Dalle primi limitazioni di marzo ai colori delle Regioni di oggi. C’è stata troppa confusione normativa?
«Sicuramente il sistema dei provvedimenti emergenziali rischia di creare confusione e posso capire i cittadini. C’è stato pure un particolare attivismo dei sindaci con atti a volte superflui, inutili, fantasiosi e di difficile applicazione. Ma in una situazione così capita a tutti di sbagliare».
Poi arriva l’estate. La ritrovata libertà.
«Pensavamo tutti di esserne fuori e sono state commesse delle leggerezze, certo. Ma io non me la sento di colpevolizzare i ragazzi. Se consenti certe attività sai già che quelle attività si vivono in un solo modo. Davvero si può pensare di ballare in discoteca a due metri di distanza?».
Quando ha visto certi scontri in altre piazze italiane, ha temuto un problema di sicurezza anche qui?
«Un periodo di pandemia può portare a tensioni sociali, se scadranno la casse integrazioni e il blocco dei licenziamenti la situazione andrà tenuta ancora sotto controllo. Qui ci sono state almeno tre manifestazioni dove la sofferenza di molte persone è stata usata anche per fini politici. Ma le associazioni di categoria ci hanno aiutato a gestire i malumori».
La gratificazione più bella?
«L’inaugurazione dell’anno scolastico con il presidente Mattarella, il 14 settembre a Vo’. Una grande fatica, ma molta soddisfazione».
Guardando avanti, invece, ha un sogno?
«In questo momento ci accontentiamo di sogni piuttosto ridotti.

Una serata fuori con gli amici, un cinema e una pizza».

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