"Sarò la tua schiava": commessa firma
un contratto, poi denuncia il marito

Mercoledì 29 Agosto 2012 di Lino Lava
La commessa aveva firmato un "contratto di schiavitù"
PADOVA - Articolo 1: "La schiava accetta di obbedire al meglio delle sue possibilit, di concedere se stessa a soddisfare ed esaudire i desideri del suo Padrone. La schiava rinuncia al suo diritto di godimento, piacere, confort e gratificazione eccetto quello concesso dal proprio Padrone".



Articolo 2: "Il Padrone è responsabile della schiava, questo include la sopravvivenza, la salute e il benessere psico-fisico".



Non è l’incipit di una nuova puntata di "Cinquanta sfumature", la trilogia erotica di E.L. James che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo raccontando la passione travolgente tra una studentessa e un manager dai gusti sessuali forti quanto insospettabili. No, questa è pura realtà. Realtà italiana, anzi padovana. Protagonista due giovani come tanti: lei, commessa trentunenne, lui barista di 41 anni, gestore di numerosi locali nella città del Santo. Una coppia "normale" o quasi, visto che lui alle spalle aveva una denuncia per aver incatenato, imbavagliato e costretto un’altra donna, sua ex compagna, ex compagna a soddisfarlo su un tavolo.



Comunque sia, nel marzo del 2004, qualche tempo prima di sposarsi, i due decidono di sottoscrivere un contratto. Sulla divisione dei beni in caso di divorzio, alla moda delle star americane? No, il loro è un accordo diverso e un po’ particolare: è un "Contratto di schiavitù" di tipo "Consensuale e a tempo indeterminato". Lo firmano l’11 marzo 2004, due anni prima di unirsi in matrimonio, ed entra in vigore alle ore 24 dello stesso giorno. Si sviluppa in 10 articoli, preceduti da una lunga premessa in cui tra l’altro si precisa che è un accordo consensuale e a tempo indeterminato.



Per sette anni il Contratto regge e viene, a quanto pare, rispettato dalle parti. Dentro e fuori casa. Lei, come prevede l’accordo, acconsente di «rivolgersi al Padrone con il termine di Signore, Padrone e Master e sempre rispettosamente anche al di fuori della sessione vera e propria. Il padrone può rivolgersi chiamando la schiava nel modo che più gli è consentito». E questo anche al di fuori delle mura domestiche, dove avvenivano le "sessioni". Lui, dal canto suo, rispetta le regole e i segnali che, insieme, avevano concordato. Quando la situazione va oltre un certo limite, il Contratto prevede infatti che lei possa ricorrere alla "Safeword" (parola di salvezza): Mario. E al "Safe Signal" (segnale di salvezza): tre colpi con la mano.



Tutto ciò fino all’estate 2011, quando il matrimonio tra il barista e la commessa finisce: lei chiede la separazione, ma, questa volta, non c’è nulla di consensuale. Anzi: la ragazza, stanca della schiavitù, caccia di casa il marito e lo denuncia anche per maltrattamenti. Lui però non si dà per vinto, non accetta la fine del rapporto e, a quanto pare, si mette a seguire la moglie e a bersagliarla in vari modi.



Scatta così una seconda denuncia, questa volta per stalking. E a questo punto salta fuori anche il "Contratto di schiavitù" che finisce nel fascicolo dell’inchiesta aperta dal pubblico ministero Sergio Dini. Il barista infatti non ci sta a passare per colpevole di maltrattamenti. E contrattacca: può accusare di violenze l’ex marito una donna che ha firmato, consensualmente con lui, un contratto nel quale si afferma, tra l’altro che «La schiava rinuncia al suo diritto di godimento, piacere, confort e gratificazione eccetto quello concesso dal proprio Padrone»?



Nelle denunce presentate dall’ex moglie c’è una sfilza di violenze dettagliate e indicate con date precise. Sì, sono fatti puniti dal codice penale. Ma, ribatte il marito, sono accuse che provengono da una persona che «di sua spontanea volontà» ha accettato di «acconsentire ed offrire corpo, mente e tutta me stessa in schiavitù consensuale». Chissà cosa avrebbe pensato Anastasia, la protagonista femminile di "Cinquanta sfumature".
Ultimo aggiornamento: 30 Agosto, 14:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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