PADOVA Il processo Rabarama è finito in una bolla di sapone. I due imputati, i coniugi galleristi Cinzia Vecchiato e Roberto Canova, hanno incassato davanti al giudice del Tribunale monocratico un “non doversi procedere”. I fatti contestati, dal 2010 al 30 gennaio del 2013, l’ultimo più di otto anni fa, sono tutti prescritti. L’artista Paola Epifani, difesa dall’avvocato Ernesto De Toni, ora può trovare giustizia solo in sede civile.
L’ACCUSA
La Procura contestava ai due galleristi di aver gestito in via esclusiva la contabilità dell’artista di livello internazionale emettendo le fatture a suo nome e operando liberamente sui conti correnti intestati a Paola Epifani di cui deteneva i codici. La coppia si sarebbe resa protagonista di gravi violazioni quali l’emissione a nome di Rabarama di fatture per opere inesistenti, al solo scopo di ottenerne lo sconto in banca e di incassarne le anticipazioni, oppure il mancato versamento delle ritenute d’acconto sulle stesse fatture della galleria. Dalle indagini condotte dalle Fiamme gialle era emerso infatti che la contabilità dell’artista Rabarama era tenuta in via esclusiva dalla titolare della galleria e dal suo compagno. Marito e moglie erano finiti a giudizio per l’appropriazione indebita di oltre un milione e 300 mila euro. L’artista, già nel giugno del 2018, aveva dichiarato: «Loro per me erano tutto, erano più di una famiglia ma a un certo punto ho dovuto chiedere come stessero le cose. Mi chiamavano le banche, le fonderie dove venivano realizzate le mie opere. Da dichiarazioni dei redditi di una certa importanza, non avevo più nemmeno i soldi per fare la spesa. Giravo in Bentley, ora vivo in affitto».
IL TEMPO
Il processo ai coniugi galleristi si era aperto nel febbraio del 2016, ma era stato immediatamente trasferito per competenza a Belluno, in quanto la prima ipotesi di reato, ovvero l’apertura di un mutuo, si era consumata in un istituto di credito di Ponte nelle Alpi.