La mostra a Padova. Giotto attraverso l'obiettivo dei fotografi: una storia per immagini

"Lo scatto di Giotto" è in programma a Padova al Museo Civico Eremitani dal 28 ottobre al 7 aprile

Sabato 19 Agosto 2023 di Nicoletta Cozza
Cappella degli Scrovegni

PADOVA - Il percorso narrativo racconta Giotto visto dagli occhi dei fotografi, in un arco temporale che va dalle protoimmagini al cinema. Due secoli, l'Ottocento, in cui nasce e si sviluppa questa modalità di riprodurre l'arte, e il Novecento in cui dietro all'obiettivo, con l'intento di immortalare la Cappella degli Scrovegni capolavoro assoluto del Maestro fiorentino, si alternano Carlo Naya, Luigi Borlinetto, i fratelli Alinari e Domenico Anderson. Circa 150 delle loro opere, infatti, saranno protagoniste della mostra "Lo scatto di Giotto", in programma a Padova al Museo Civico Eremitani dal 28 ottobre al 7 aprile, che ha preso spunto da un'altra rassegna che si era tenuta a fine anno al Mart di Rovereto su iniziativa di Vittorio Sgarbi, intitolata appunto "Giotto e il Novecento": ebbene, l'assessore patavino Andrea Colasio ha deciso che nel capoluogo del Santo sarebbe stato importante raccontare la storia della Cappella, fulcro dell'itinerario insignito del sigillo Unesco, proprio attraverso le fotografie e ha affidato a 3 curatrici, Francesca Veronese, Federica Millozzi e Vincenza Donvito, la stesura del progetto scientifico che culminerà a fine ottobre con la vernice a cui dovrebbe intervenire pure il sottosegretario alla Cultura.

La storia e il timore di perdere gli affreschi

A meno di 25 anni dalla "nascita" della fotografia avvenuta a Parigi nel 1839, uno dei suoi pionieri italiani, Carlo Naya nel 1863 immortalò la Cappella in alcuni scatti che fecero il giro dell'Europa, successivamente eseguì una campagna fotografica completa degli affreschi e, su input di Pietro Selvatico, ne documentò lo stato di conservazione prima dei restauri di Guglielmo Botti nel 1865. Il sito è quindi tra i primi monumenti italiani a essere riprodotto in modo sistematico in immagini, quelle che saranno esposte agli Eremitani in un suggestivo viaggio nel tempo, in uno scenario in bianco e nero che farà scoprire dettagli inusitati, restituendo l'impressione che riportava un visitatore a metà Ottocento.

Al Museo si potrà ammirare il lavoro di Borlinetto, il quale, tra il 1895 e il 1896, per primo immortalò, oltre ai dipinti sulle pareti, la volta e le scene delle cornici: si tratta di 146 immagini di cui si conservano le lastre in vetro nelle scatole di legno originali. Con il nuovo secolo, poi, venne stipulata una convenzione tra il Comune e i fratelli Alinari, le cui foto sono conservate nella Biblioteca Civica di Padova insieme a quelle che successivamente realizzerà Domenico Anderson e alle altre protagoniste della mostra. La storia della fotografia s'intreccia con quella dell'editoria d'arte e di divulgazione: Carlo Carrà corredò la sua "Parlata su Giotto" del 1916 con le immagini degli stessi Alinari, usate pure dal regista Luciano Emmer per realizzare il primo film sugli Scrovegni, "Dramma di Cristo" del 1938, cui seguiranno le immagini dei video dell'Istituto Luce del 1942, fino al Giotto-Pasolini nel "Decameron" del 1971.

La mostra

La mostra è suddivisa per aree tematiche. Quella iniziale riguarda gli Scrovegni prima della fotografia, con disegni, incisioni, rilievi tecnici e vetri per lanterna magica. C'è poi la Cappella "fotografata", con le lastre inedite originali, affiancate alle immagini che hanno poi generato, cui fanno seguito le sezioni "immersiva", "illustrata" e "al cinema". Tra le curiosità vanno citate le xilografie del raro volume di John Ruskin "Arena Chapel, Padua. A Series of Wood Engravings from the Frescos of Giotto" del 1854 e la riedizione del 1900 che dimostrano il passaggio epocale tra l'antica e la nuova tecnica di riproduzione delle fotografie. Colasio, che sta scrivendo il saggio che sarà pubblicato all'interno del catalogo, osserva: «Sto ricostruendo la storia e ritengo che Selvatico abbia vissuto per anni temendo la perdita irreversibile degli affreschi: prima il crollo del 1817, poi nel 1827 la distruzione parziale del palazzo limitrofo, quindi nel 1863 l'ipotesi di staccarli e dei venderli all'Albert and Victoria Museum di Londra. L'intera vicenda della Cappella è segnata da tale rischio. Il timore che si dissolvessero ha accompagnato la Storia dell'Ottocento e la classe politica padovana fece una grande battaglia contro i Gradenigo per tutelarli, a dimostrazione che i dipinti di Giotto hanno sempre segnato le politiche culturali della città. Un patrimonio che diventa collante dell'epoca risorgimentale». E a proposito dell'allestimento, ha proseguito: «La sala centrale sarà immersiva per far sì che il visitatore entri nella scena giottesca, con 12 proiettori che la ricostruiranno in modo reale: in pratica partiamo dalle prime foto per arrivare alle nuove tecnologie. Esporremo materiale che era nei depositi della Biblioteca, oltre a prestiti importanti per raccontare Giotto immortalato dai fotografi».

Nel dettaglio

Le curatrici si son soffermate sulle particolarità della rassegna. «Il titolo della mostra - osserva Federica Millozzi - nasce dal doppio significato della parola "scatto": quello dei fotografi per realizzare le prime immagini della Cappella, e l'altro in avanti compiuto da Giotto rispetto alla pittura del suo tempo per arrivare nella modernità, rappresentando la stessa realtà che la macchina fotografica catturerà 5 secoli dopo. In mostra abbiamo foto che sono opere d'arte, documenti per la conoscenza dei capolavori e tasselli fondamentali della storia della fotografia italiana».
«L'esposizione mette a sistema dati antichi e nuovi - ha evidenziato Francesca Veronese, direttore del Museo - Le foto d'archivio evidenziano dettagli dei capolavori di Giotto e nel contempo lasciano intuire come la percezione della sua unicità e la necessità di salvaguardare gli affreschi siano stati presenti a partire da allora».
«Si tratta di immagini spesso rarissime, salvate dall'oblio - ha concluso Vincenza Donvito - e verranno mostrati pure acquerelli e disegni dei primi restauratori della Cappella, oltre a documenti inediti di Selvatico, che intuì l'utilità dell'impiego della fotografia nella salvaguardia delle opere d'arte». 

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