Il terziario è il regno degli "under 35": «Siamo più flessibili al cambiamento»

Lunedì 24 Maggio 2021 di Mauro Giacon
Lavoro più flessibile e gli under 35 hanno maggiore capacità di adattarsi

PADOVA - Il futuro è dei giovani, soprattutto nell'economia. Sono loro che dovranno reggere lo sforzo maggiore della ripartenza. Ma partono da una buona dote. I numeri della Camera di Commercio dicono che in provincia di Padova, al 31 dicembre dell'anno scorso le imprese gestite da giovani, ovvero quelle in cui la partecipazione di persone under 35 risulta complessivamente superiore al 50%, appartengono per il 60,47% al comparto terziario. Dove per terziario si intende turismo, trasporti e spedizioni, assicurazioni e credito e servizi alle imprese. Si tratta, complessivamente, di 3.814 attività su 6.307 affidate ai giovani. E il confronto in tabella dice che nell'anno peggiore i giovani hanno tenuto.
All'Ascom è attivo il Gruppo Giovani Imprenditori.

Lo presiede Max Losego, imprenditore nel settore dell'informatica (titolare di Atman). «La tenuta si può leggere in molti modi io credo però che noi abbiamo aperto aziende più snelle, e che ragioniamo molto di più sul capitale umano» comincia. «Nel senso che quando formiamo una persona siamo molto attenti poi a non farla scappare, quando invece a una grande azienda magari non interessa. Ma è questo che fa la differenza fra i giovani, la formazione, lo spirito di squadra, la motivazione. E noi teniamo stretti i collaboratori che abbiamo formato, aggiungono valore. E li responsabilizziamo. Ognuno è referente per la sua area».


Il mondo è cambiato davvero? Anche nei rapporti di lavoro, fra committenti ed esecutori? «È cambiato. Ora da esterni non si entra più liberamente in un'azienda. Al massimo vieni fatto accomodare in un salottino dove incontri una sola persona. Dunque è una sfida. Chi modifica più velocemente il proprio modello sia nella presentazione che nell'offerta e nella esecuzione, ha vinto. Certo, il contatto umano non sarà mai abolito, ma si consuma in un altro modo. Anzi sta ricominciando, ma le premesse sono totalmente diverse».
E voi? «Ecco, noi siamo in corso del Popolo, facciamo parte di un co-working che abbiamo fondato. E' un piccolo ecosistema digitale». Lei si occupa di proposte di tipo informatico. Com'è cambiato il mondo delle imprese dopo un anno di virtuale? «E-commerce, siti web dedicati e software particolari oramai sono all'ordine del giorno. Non le chiedono solo gli artigiani ma anche qualche realtà del commercio. C'è la vendita fisica e quella online. I negozi ormai devono avere una cultura multidisciplinare, ed avere chi fa filare bene anche la vendita sulle piattaforme, cosa che non è scontata. Ma guardi che ormai anche un agricoltore ha bisogno di internet se vuole vendere. Mentre per le aziende potrei citarle il caso di un lavoro che stiamo facendo per un'impresa che produce grano e farine. Vogliono tracciare tutto di ogni sacchetto con un'etichetta intelligente, un QR code che dice dove ha avuto origine il materiale, dove è stato confezionato e molte altre cose. Ma questo puntare al perfezionismo io lo vedo in tutte le aziende condotte dai giovani, dalla ristorazione alle assicurazioni, fino alle imprese funebri».


Fiducia? «Sì, tanta. Le cose stanno cominciando a rigirare. Chi è sopravvissuto a chiusure e mancati incassi fa progetti anche se è cambiato l'orizzonte. Prima si faceva un piano di sviluppo a 2-3 anni, ora a sei mesi. Perchè questo stanno facendo i committenti: prima, dicono, facciamo un passo, poi vedremo. E questo si riverbera in tutti i settori, come il turismo. Nessuno prenota adesso per Natale come si faceva due ani fa, dicono ai nostri nelle agenzie turistiche. E ancora i pubblici esercizi. Chi apre comincia con il delivery, non rischia un investimento sugli arredi o sulle serrande. Ma almeno ci prova e spera in giorno di finire il resto».
 

Ultimo aggiornamento: 08:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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