La storia non si scrive né con i ma, né tanto meno con i se. Ma è difficile non pensare a come sarebbe potuta andare la storia del Covid, se anche in Lombardia il Coronavirus fosse stato bloccato come in Veneto...
GLI AUTORI
Figurano anche diversi veneti, di nascita o di accademia (Università di Padova), tra gli autori di Filogeografia e epidemiologia genomica di Sars-CoV-2 in Italia e in Europa con genomi italiani recentemente caratterizzati tra febbraio e giugno 2020 (la traduzione è nostra): Andrea Crisanti, Stefano Toppo, Enrico Lavezzo, Laura Manuto, Marco Grazioli, Federico Bianca, Claudia Del Vecchio, Elisa Franchin, Francesco Onelia. «La pandemia di Covid-19 osservano rappresenta una sfida senza precedenti per la salute pubblica globale, con la continua comparsa di nuove varianti genetiche del virus e le relative implicazioni, come il loro potenziale aumento di patogenicità o trasmissibilità». È stato proprio seguendo a ritroso il percorso delle mutazioni, al ritmo di circa un paio al mese, che gli esperti sono risaliti ai due canali (introduzioni, nel linguaggio scientifico) attraverso cui il Covid è sbarcato in Occidente: l'uno a Vo', in provincia di Padova, con il ceppo B; l'altro a Codogno, dalle parti di Lodi, con il ceppo B.1.
I FLUSSI
Ecco allora i due distinti flussi filogeografici, provenienti «molto probabilmente» dalla Cina, individuati intorno al 20-21 febbraio 2020. Spiega la ricerca: «Il primo percorso riguarda il ceppo B, che è stato introdotto in Veneto dando origine ad un focolaio che apparentemente è scomparso in quella regione entro la prima metà di marzo. Il secondo modello ha coinvolto il ceppo B.1, che sembra sia entrato in Lombardia e da lì si sia diffuso in altre regioni italiane, principalmente del Centro (ad esempio Marche, Abruzzo) e del Nord Italia (ad esempio Emilia Romagna, Veneto). Questa osservazione è in accordo con i dati epidemiologici che mostrano l'effettiva soppressione dell'esplosione di Sars-CoV-2 in Veneto nei primi tempi dell'epidemia a causa di un approccio completo, altamente efficace, di tamponi e tracciamento e di lockdown locali». Gli scienziati sottolineano dunque il ruolo dei test di massa e della zona rossa, attuati subito a Vo', nello spegnimento del primo focolaio veneto di B, in quanto «le misure di distanziamento sociale hanno congelato la catena di trasmissione e a loro volta hanno spento l'evoluzione virale».
I RIMBALZI
Diversa è stata invece la vicenda lombarda, dove la prima miccia è rimasta accesa, innescando un incendio che si è via via propagato al resto d'Italia. A rivederli adesso, i rimbalzi del virus da una regione all'altra assomigliano alle traiettorie di un flipper impazzito: B.1 si estende al Veneto, al Friuli Venezia Giulia, all'Emilia Romagna, alle Marche, al Lazio, alla Puglia e all'Abruzzo, dove il virus muta ancora diventando B.1.1, pronto a saltare indietro verso la Puglia, la Sardegna, la Lombardia e il Veneto, ma anche il Piemonte, dove si evolve ulteriormente e si trasforma in B.1.1.1. Ormai siamo all'11 marzo 2020: l'epidemia sta dilagando, tanto che scatta il lockdown nazionale. «Sulla base della nostra ricostruzione annotano gli autori dello studio le iniziali introduzioni multiple sporadiche del ceppo B in Italia si sono verificate almeno dalla seconda metà di gennaio 2020 e sono rimaste relativamente confinate. Successivamente, nel mese di febbraio la mutazione D614G è entrata nel Nord Italia diffondendosi rapidamente al resto dell'Italia e dell'Europa, determinando un diverso profilo epidemiologico dell'epidemia italiana, da allora sostenuta solo dal ceppo B.1 e dai suoi discendenti». Così è andata la storia, senza ma e senza se.