BELLUNO - «Non coinvolgiamo i dipendenti comunali, per non sottrarre tempo al loro lavoro. Ci siamo impegnati come sindaco e giunta nel far tutte le cose che servono». Una volta alla settimana da marzo scorso il sindaco di Fonzaso, Christian Pasa, è venuto a Belluno per portare a fare le visite mediche, con la sua auto e a sue spese, i due migranti ivoriani che ospita nel suo comune. «Come avere dei figli - spiega - li porto ai vari appuntanti per le vaccinazioni e altro». Ha chiuso la biblioteca di Arten che faceva servizio due giorni alla settimana per dare una casa a queste persone che sono state portate sul suo comune. Ma l’impegno per l’accoglienza non finisce lì: il cibo, l’acquisto di abiti, l’aiuto nei documenti. E Pasa è fortunato, visto che parla correntemente francese, per altri non è così. Sono 30 i comuni che hanno accolto, mettendosi in prima linea, ma non bastano più: gli arrivi non si fermano. Nell’ultimo tavolo di venerdì a Palazzo dei Rettori il prefetto, Mariano Savastano, ha rilanciato l’appello ai sindaci che ancora non hanno aperto le porte.
I SOGGETTI
L’invito al nuovo tavolo di martedì era stato esteso anche alla protezione civile regionale, ma l’assessore Gianpaolo Bottacin ha già comunicato ufficialmente l’impossibilità a partecipare: quella mattina a Venezia c’è giunta e consiglio. In ogni caso la protezione civile non può intervenire sull’emergenza profughi anche per la logistica: l’ordinanza del capodipartimento Fabrizio Curcio dell’aprile scorso parla esclusivamente di strutture statali. Ed anche nell’ipotesi più remota del ricordo ad eventuali tendopoli sarebbero i vigili del fuoco a dover operare. D’altro canto, però, ormai il sistema ordinario di accoglienza è saltato in provincia: i bandi effettuati da palazzo dei Rettori per cercare operatori che si mettessero a disposizione sono andati deserti. In questo momento sono in funzione solo i due Cas (Centri di accoglienza straordinaria), immaginati con lo scopo di sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie. I Cas sono di Dumia e cooperative Integra che insieme accolgono 151 migranti. Infine procedono spediti i passi per gli altri centri Cas nei comuni: 100 posti distribuiti tra Tai a Pieve di Cadore (50 nella ex colonia del Patriarcato veneziano, metà dei quali sono quelli assegnati a Venezia), Lamon (25 nell’ex monastero-asilo delle suore), Trichiana a Borgo Valbelluna e Sedico (in totale altri 25 accolti dalla Cooperativa Sviluppo e lavoro). Ma non bastano e il prefetto ha coinvolto i sindaci.
I SINDACI
E così i primi cittadini fanno “volontariato”. «È una chiamata alla responsabilità - spiega il sindaco di Ponte, Paolo Vendramini -, purtroppo questo è un governo che non riesce a affrontare la situazione, scaricano tutto sui primi cittadini, che sono sempre pronti a fare la loro parte con le associazioni di volontariato, ma ci volgono delle comunicazioni governative o siamo sempre in emergenza. E così molti di noi si sostituiscono anche ai servizi sociali, comuni piccoli: devono accompagnarli in questura, all’Ulss». Vendramini spiega che si fa volentieri, ma ricorda «ognuno deve fare la propria parte». Ed è proprio questo il punto: molti enti, soprattutto i più piccoli, al momento sono a zero migranti. «Ho i miei anziani che sono nelle valli - afferma il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bermardin - che non so nemmeno se sono vivi o morti e non riesco nemmeno a seguire loro, immaginiamoci se riesco a fare altro. Io non voglio essere coinvolto nella gestione: se qualcuno si sovrappone a me e si arrangia non mi metto di traverso». «Noi sindaci abbiamo altro da fare - conclude - e un comune come il nostro sceso da 13 a 9 dipendenti in un anno non può farsi carico di questo. Facciamo i concorsi non viene nessuno, la gente se ne va le paghe sono basse. Non ce la facciamo».