Kfar Azza, orrore nel kibbutz in Israele: uccisi almeno 40 bambini, «alcuni decapitati». Trucidato un terzo degli abitanti

I cadaveri dei bimbi erano nelle case bruciate: lo choc dei militari israeliani

Martedì 10 Ottobre 2023 di Raffaella Troili
Kfar Azza, orrore nel kibbutz a Israele: «Uccisi almeno 40 bambini, alcuni decapitati». trovati 200 cadaveri

Forse dormivano, forse erano incoscienti. No, hanno avuto paura, non come le altre volte, quando ogni dieci minuti suona la sirena e sono ormai abituati. Una strage di innocenti, non un blitz, niente a che vedere con un’operazione militare, solo una spietata mattanza quella avvenuta sabato nel kibbutz di Kfar Aza. Duecento israeliani sono stati uccisi, massacrati nelle loro case, tra loro 40 bambini e neonati alcuni decapitati da una settantina di miliziani di Hamas.

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L’orrore è stato raccontato ieri dall’emittente televisiva i24News che ha citato l’ong Zaka, che partecipa all’identificazione dei corpi e che ha permesso alla stampa di avvicinarsi al sito: nelle piccole case, una scia di sangue si allunga ovunque nei corridoi e si ferma davanti ai corpi senza vita stesi a terra di israeliani braccati, trascinati sul letto o colpiti nella notte.

Quella di Kfar Aza, è una piccola comunità a circa 200 metri dal confine con Gaza. Un luogo curato e pieno di bambini, passeggini, palloni, pareti colorate. Non è rimasto niente. Un attacco feroce, a sorpresa. Molti erano in camera da letto, alcuni avevano valigie pronte ma forse erano abituati così. Uccisi con fucili, granate, coltelli e una crudeltà orrenda: un assalto in cui è stato usato anche il fuoco, per far uscire tutti, attenderli e ucciderli. Date alle fiamme anche le loro auto, nessuno doveva salvarsi. Bruciati anche i corpi, alcuni sono irriconoscibili.

AMMASSATI
Li hanno trovati ammassati, cadaveri violati, piccoli corpicini decapitati, ora messi in fila in sacchi neri da cui spuntano piedini inermi laddove giocavano tra vialetti curati e alberi in fiore. Immagini che hanno commosso i soldati israeliani, che si sono fatti coraggio tra loro, facendosi largo in quelle casette striate di sangue dappertutto. Schizzi alle pareti, nelle camerette devastate dei bambini, tra i giocattoli e le lenzuola intrise divenute rosse. E ancora: donne stese nel letto senza vita, colpite alla testa; uomini a terra esanimi. «Un massacro, difficile da raccontare», ripetono i giornalisti che hanno visitato il kibbutz devastato. «Scene di orrore - ripete un inviato della Cnn - c’erano corpi ovunque, ci sono corpi ovunque». 

Non è l’unico kibbutz colpito a morte, quello di Kfar Aza, dove abitavano 765 persone. Altre comunità lungo la Striscia sono state colpite da sabato. Il bilancio sta emergendo in queste ore. Nel kibbutz Bèeri, teatro di un massacro di civili, sono stati trovati i corpi di «103 terroristi di Hamas», morti in uno scontro a fuoco con l’esercito. Lo ha detto il portavoce dell’esercito israeliano, ammiraglio Daniel Hagari, citato da Times of Israel. Qui sono state trucidate oltre cento persone. Una guerra spietata, la conta delle vittime è in continuo divenire, a farne le spese la popolazione civile. 

IL RICORDO
Scrive sul profilo Instagram dedicato al kibbutz di Kfar Aza, “arikshragahumanitarian”, fotografo umanitario, commentando la foto scattata a un bambino che giocava a pallone: «Dopo gli ultimi due giorni di attacchi missilistici contro Israele, mi ricordo di questo ragazzo di Kfar Aza. Ero in quel kibbutz nel 2014, proprio nel bel mezzo del tumulto dell’operazione “Protective Edge”. Kfar Aza è dall’altra parte del campo dal confine con la striscia di Gaza, a circa 300 metri di distanza. I missili nell’estate del 2014 hanno continuato a cadere per mesi, e le persone che inizialmente sono fuggite, non hanno potuto rimanere in evacuazione così a lungo. Iniziarono a tornare nelle loro case. La famiglia di questo ragazzo è stata una delle prime a tornare, nessuno dei suoi amici era ancora in giro, e stava giocando su un campo da calcio da solo... Non era particolarmente spaventato, ma piuttosto annoiato: i razzi, le sirene, corse veloci al rifugio ogni 10 minuti, tutto molto presto divenne una routine estenuante». E ancora: «Sono rimasto stupito da due cose in quella visita, una è l’aspetto pastorale assolutamente pacifico di Kfar Aza, l’altra una flessibilità della mente umana capace di accettare condizioni dure come nuova norma. Questa è una modalità di sopravvivenza che ci impedisce di essere costantemente sopraffatti nelle emergenze di lunga durata». Chissà che ne è stato di quel ragazzo, che giocava a pallone, sfidando i razzi e correndo nei bunker. Dei suoi amici più miti e prudenti, dei familiari. Forse, stavolta per loro non c’è stato scampo.

Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA