A parole sembrano tutti d’accordo: non c’è altro tempo da perdere per aprire un corridoio umanitario attraverso cui potrebbero lasciare Gaza migliaia di cittadini terrorizzati dalle bombe, dall’arrivo della “tempesta di terra” israeliana e praticamente usati come scudi umani dai terroristi di Hamas che si nascondono e piazzano le rampe di lancio di razzi e missili proprio in mezzo ai civili, alle scuole, agli ospedali, ai luoghi di culto. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali non mancano i distinguo e pure le condizioni che rendono impossibile questo piano di evacuazione. Quelle dell’Egitto, anche se non confermate ufficialmente, che chiederebbe un cessate il fuoco da parte di Israele. E quelle di Hamas che respinge ogni apertura, pensando più che alla sorte della propria gente alla propria necessità evitare una vera fuga di massa dell’intera Striscia.
LO SCENARIO
Il Cairo in un primo momento si era detto disponibile ad aprire il varco di Rafah, a sud della Striscia di Gaza, ma solo per consentire l’ingresso di carburanti, medicinali, merci e derrate alimentari, ormai agli sgoccioli dopo il blocco imposto da Israele (che ha confermato di voler mantenere l’embargo fino al rilascio degli ostaggi). Ma lo stesso governo egiziano fa capire di avere molte riserve sull’apertura della corsia opposta, quella in uscita da Gaza. I servizi di sicurezza egiziani, infatti, avrebbero messo in guardia i ministeri sui rischi di un esodo di massa verso la penisola del Sinai. Dove tra l’altro già ci sono parecchi profughi. Ma le pressioni di queste ultime ore si sono fatte molto più forti e nel corso della giornata di ieri il Cairo, attraverso una nota del ministero degli Esteri, ha fatto sapere che «il valico non è mai stato chiuso dall’inizio della crisi attuale e che dunque è aperto al traffico» ma è attualmente inagibile perché «le strutture sul lato palestinese sono state distrutte dai bombardamenti israeliani». E dunque chiede allo stato ebraico di «evitare di prendere di mira» quella zona. In questo rimpallo di responsabilità risultano evidenti le difficoltà di arrivare ad una rapida soluzione della questione mentre continuano le trattative che la stessa Hamas conferma per bocca di Ghazi Hamad, esponente di rilievo dell’organizzazione islamica intervistato da al Jazeera.
LA SITUAZIONE
Mentre si cerca di uscire dal pantano, si gonfia il numero degli sfollati. Le persone che hanno lasciato le proprie case sono arrivate a 340mila, 75mila in più del giorno precedente. A spingerli verso posti più sicuri, oltre ai raid aerei, è proprio l’inizio ormai imminente dell’azione di terra e i continui avvertimenti lanciati dall’esercito israeliano. Dopo i “roof knocking”, cioè le bombe più leggere lanciate dall’aviazione sui tetti di palazzi per avvertire dell’arrivo di una operazione ben più consistente e per mettere sull’avviso gli abitanti del palazzo, ieri gli strateghi militari israeliani hanno violato il canale televisivo Al Aqsa, di proprietà dell’organizzazione islamica, interrompendo le trasmissioni per lanciare un nuovo appello. «Hamas ha distrutto la Striscia, e portato i suoi leader in luoghi sicuri - ha detto una voce ovviamente in lingua araba - ora proteggetevi: dovete evacuare le vostre case e andare in luoghi più sicuri perché il colpo sarà fatale».
I RAID CONTINUI
Il martellamento dal cielo continua e non conosce soste. La quinta notte dopo l’attacco e gli orrori dei macellai di Hamas – che sarebbe stato preparato da due anni - la Striscia di Gaza è stata resa ancora più spettrale dopo lo spegnimento dell’unica centrale che fornisce energia elettrica a tutti i centri abitati, e con le luci del giorno le devastazioni appaiono in tutta la loro evidenza. Gli edifici distrutti superano il migliaio, le macerie dei palazzi sono ovunque. I morti sarebbero 1400 tra cui oltre 400 bambini o minori e 250 donne, dice il Ministero della sanità di Gaza.
Gli obiettivi colpiti, ha fatto sapere l’esercito israeliano sarebbero ormai arrivati a oltre 3.600, le bombe sganciate più di seimila. In pratica sono state scaricate a terra 4mila tonnellate di esplosivo. E lungo i 41 chilometri di confine continuano a posizionarsi carri armati e blindati, si dispiegano le truppe la fanteria, i reparti corazzati, i corpi di artiglieri e i riservisti che sono arrivati da diverse parti del mondo e sono circa 300mila. La tempesta sembra sempre più vicina.