Israele, destra radicale contro Netanyahu. Ben Gvir: «Senza attacco a Rafah non sarà più premier». Cosa sta succedendo

Con un post su X, il ministro della sicurezza nazionale ha duramente criticato la scelta del primo ministro israeliano di ritirare le truppe da Khan Yunis, nel sud di Gaza

Lunedì 8 Aprile 2024
Israele, destra radicale contro Netanyahu. Ben Gvir: «Senza attacco a Rafah non sarà più premier». Cosa sta succedendo

Continua a perdere consensi Netanyahu. Dopo l'annuncio dell'esercito del ritiro da Khan Yinis, nel sud di Gaza, sono stati in molti a contestare la decisione del primo ministro israeliano. Tra questi, anche Itamar Ben Gvir, il ministro della sicurezza nazionale e leader di destra radicale, che con un post su Twitter ha espresso il suo dissenso per la scelta del premier.

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L'attacco di Ben Gvir

«Se Netanyahu decide di porre fine alla guerra senza un attacco esteso a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà il mandato per continuare a servire come primo ministro».

Lo ha detto il ministro della sicurezza nazionale - e leader di destra radicale - Itamar Ben Gvir, citato dai media. Prima di lui l'altro ministro di destra radicale di "Sionismo religioso", e responsabile delle finanze, Bezalel Smotrich, secondo i media, ha convocato il suo partito per valutare la situazione dopo l'annuncio dell'esercito del ritiro da Khan Yunis, nel sud di Gaza.

Il ritiro delle truppe

Il tweet di Ben Gvir arriva dopo la decisione del governo israeliano di ritirare le truppe di terra dal sud della Striscia di Gaza, dopo quattro mesi consecutivi di combattimenti nell'area di Khan Yunis. A rimanere nel territorio solo la brigata Nahal, incaricata di proteggere il cosiddetto Corridoio Netzarim, che attraversa Gaza dall'area di Beeri, nel sud di Israele, fino alla costa. Il corridoio consente alle Idf di effettuare raid nel nord e nel centro di Gaza, impedisce ai palestinesi di tornare nella parte settentrionale della Striscia e consente alle organizzazioni umanitarie di fornire aiuti direttamente nel nord di Gaza. Una decisione, quella del ritiro delle truppe, ritenuta funzionale all'invasione immidente di Rafah. O almeno, secondo Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant. Sono in molti infatti a ritenere questa scelta collegata alle pressioni degli Stati Uniti, che da tempo cercando di ridurre l'intensità della guerra.

I piani

Si discute adesso se basti avere eliminato l’80 per cento del personale di Hamas «o se si debba distruggerlo tutto, per installare nella Striscia un governo retto dall’Autorità palestinese, da Fatah, per quanto debole moralmente e politicamente, e dai vecchi clan che riprenderebbero forza, mentre Hamas è screditato perché ha lanciato un attacco il 7 ottobre senza aver prima provveduto a mettere in protezione la propria gente dalla inevitabile risposta di Israele». A volere il riassetto politico della Striscia c’è pure l’Egitto, «che non ha alcun interesse all’anarchia a Gaza». In Israele, invece, il tempo che resta a Netanyahu per governare è contato. «Appena la guerra sarà finita, verrà istituita una commissione che non dovrà cercare le responsabilità nell’Intelligence, perché i capi di quella militare e dello Shin Bet, quella interna, le hanno già ammesse e si presenteranno coi dossier pronti, mentre non sono coinvolti l’esercito, che dipende dalla security, né il Mossad che opera all’estero». La commissione affronterà le responsabilità di Netanyahu come premier e lo costringerà a dimettersi, al massimo in 90 giorni. «La sua uscita di scena è inevitabile», conclude il politologo americano-romeno, ma non risolverà il problema. «Prima di tornare alle urne, gli israeliani dovranno cambiare questa legge elettorale proporzionale che consente ai micro-partiti e agli estremisti di ipotecare il governo, se c’è un premier come Netanyahu che pur di restare al potere è pronto ad allearsi con chiunque».

 

 

Ultimo aggiornamento: 16:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA