Gaya Calderon era a casa a Tel Aviv sabato mattina quando è iniziato l'assalto di Hamas. La sua famiglia, invece, era nel kibbutz Nir Oz, vicino alla Striscia di Gaza.
Il rapimento al telefono
Il dramma è iniziato quando un suo amico le ha telefonato e le ha detto: «Ehi, lo sai che Hamas e la Jihad islamica sono nel kibbutz?». Immediatamente ha tentato di chiamare la sua famiglia ma non ha ottenuto risposta. Le è però arrivato un loro sms in cui dicevano che non potevano rispondere e che dovevano restare in silenzio. Poco dopo le è arrivato un messaggio di sua sorella Sàar, 16 anni, che diceva: «Sono così spaventata, Gaya, voglio piangere», ha raccontato Gaya citata dal Times of Israel. Poco dopo, un altro messaggio di Sàar le diceva: «Sono in casa, non mandare più messaggi», e sulla chat di famiglia un altro messaggio: «Mamma, ti voglio bene», poi più nulla.
«Credo che questa sia la fine»
La madre, che vive in un'altra abitazione dello stesso kibbutz, a sua volta le ha scritto: «Gaya, ho sentito degli spari, credo che questa sia la fine». Lei è sopravvissuta. Quando i miliziani sono entrati nella sua casa, lei si è attaccata con tutte le forze alla maniglia della stanza in cui si era rinchiusa impedendo loro di aprirla. Anche suo fratello di 18 anni, che vive nel kibbutz, è sopravvissuto. La sua casa è stata distrutta e in parte incendiata. Ma «mio fratello Erez era in un video, un terrorista lo stava afferrando e trattenendo. Non ho visto sangue su di lui, quindi posso solo sperare che stia bene». Degli altri nessuna notizia. Ora, dice Gaya, «resto a casa e piango tutto il giorno, sono impotente», ma, aggiunge, «ho fiducia nel mio Paese. Voglio riavere la mia famiglia. Aiutateci per favore.»