Cisgiordania, incubatore dei giovani terroristi che fa tremare Israele: lo spettro di un nuovo fronte

Si infiamma il territorio della West Bank, raid e attacchi in quattro campi profughi

Sabato 11 Novembre 2023 di Raffaele Genah
Cisgiordania, incubatore dei giovani terroristi che fa tremare Israele: lo spettro di un nuovo fronte

Una polveriera in ebollizione permanente. Di certo niente ancora di paragonabile con le immagini che arrivano da Gaza, ma quello della Cisgiordania si può a buon diritto considerare, per Israele, un secondo fronte aperto.

Un fronte per ora ancora a bassa intensità ma dove il livello di scontro potrebbe definitivamente deflagrare da un momento all'altro. Da molti mesi non passa notte senza violenti scontri nelle città, nei villaggi, per le strade e soprattutto nei campi profughi, che gli esperti della sicurezza israeliani considerano pericolosi incubatori di violenza e formidabili centri di reclutamento di nuove leve terroristiche.

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ALTA TENSIONE

L'ultima operazione in ordine di tempo dell'esercito si è focalizzata su Jenin, una delle città più attive della guerriglia palestinese. Ma non solo. La sicurezza israeliana è piombata di notte, preceduta dai bulldozer e dai report di infiltrati nel campo profughi di quella che è stata ribattezzata dai palestinesi la «capitale dei martiri» (durante la seconda Intifada, da qui sarebbero partiti una trentina di attentati suicidi) e in altri tre campi profughi. Alla fine il bilancio degli scontri è di 41 arresti, inclusi 14 presunti terroristi di Hamas, e 20 feriti. Prima di ritirarsi l'esercito ha lanciato centinaia di volantini tra la popolazione con un pesante avvertimento: «L'Idf tornerà ancora e ancora finché il terrorismo non sarà sradicato. State lontani dai terroristi. Vivete in pace». Parallelamente un altro gruppo di soldati muoveva in direzione di Hebron, e nelle vicinanze della "città dei Patriarchi" ha distrutto la casa di due terroristi che, in agosto, avevano ucciso una giovane donna davanti alla figlia di 12 anni, attentato poi rivendicato dalla Brigata martiri di Aqsa, (filiazione di Fatah). L'operazione si è spinta poi in altri tre campi profughi: Al Aroub ( Hebron) Deheishe e Aida (Betlemme) dove sarebbero state confiscate armi. Ma quello che è accaduto ieri notte è un copione che in Cisgiordania si ripete dall'inizio dell'anno.

LA STRAGE

Il 2023 - prima ancora dell'attacco di Hamas - era stato un anno con numeri mai registrati in precedenza: i morti sarebbero stati poco meno di 200 (fonte Onu). Un bilancio che va aggiornato tenendo conto di quello che è accaduto dopo il 7 ottobre: da quel tragico sabato ad oggi i morti nella West Bank - secondo l'Alto commissario delle Nazioni Unite Volker Turk sarebbero 176, tra cui una quarantina di bambini. I feriti 2450. Gli arresti, fa sapere invece l'esercito israeliano, sono stati 1540, di cui 930 presunti appartenenti ai gruppi jihadisti. Numeri che rendono ancora solo parzialmente la misura della polveriera Cisgiordania: quella che i 502.678 coloni, insediati in quest'area, chiamano col nome biblico Giudea e Samaria per rivendicare la legittimità della loro presenza. I coloni sono una delle maggiori cause dell'innalzamento del livello degli scontri. In gennaio per vendicare la morte in un'imboscata di due di loro misero letteralmente a fuoco e fiamme la città palestinese di Hawara. Poi in altri scontri con loro almeno 8 palestinesi sarebbero rimasti uccisi. Proprio per proteggere questi insediamenti il governo Netanyahu aveva spostato in quest'area la quasi totalità dei propri battaglioni militari, scoprendo il fianco sud di Gaza.

LA CRISI

In questo contesto è lievitato negli ultimi anni il malcontento contro la dirigenza dell'Autorità Nazionale Palestinese, l'establishment guidato da Abu Mazen è stato percepito da un numero crescente di abitanti della West Bank come inefficiente, corrotto, debole verso Israele, incapace di gestire la sicurezza e contenere le violenze dei coloni. E nei sondaggi che circolavano prima delle elezioni che si sarebbero dovute tenere nel 2021 - poi puntualmente saltate - Hamas avrebbe potuto conquistare la maggioranza nell'intera regione. Adesso la posizione di Abu Mazen ritrova una sua centralità, grazie anche alle pressioni internazionali non solo degli Stati Uniti. Celebrando il 19esimo anniversario della morte del suo predecessore, Yasser Arafat, ha indicato l'Olp come l'unico rappresentante del popolo palestinese, sconfessando così Hamas, che però non riesce a condannare pienamente. E rendendosi disponibile nell'ambito di «una soluzione globale», ad assumere il controllo della Striscia - da cui era stato violentemente cacciato nel 2006 proprio da Hamas - indica Gaza come «parte integrante dello Stato palestinese». Ma insiste sulla Cisgiordania e arriva a dire: «Quello che accade qui, come a Gerusalemme Est non è meno atroce di ciò che accade a Gaza».

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