L'Italia si sentirà più sola dopo 16 anni vissuti con la Merkel come cancelliera nel Paese più potente d'Europa? Una certa apprensione è normale, quando si verificano cambiamenti così importanti. Vista dall'Italia, la cancelliera è stata una leader più trionfale per la Germania e meno per l'Europa.
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IL RUOLO DA STATISTA
Ecco, non è facile fare un santino della cancelliera - che comunque resterà come un personaggio storico di rilievo - considerando il suo ruolo da statista europea. Ha saputo gestire la Germania con competenza e serietà e ha saputo risolvere i problemi (perfino quelli che parevano insormontabili come l'arrivo da lei concesso e molto contestato di 1 milione di profughi siriani nel 2015) ma ci si poteva attendere di più o molto di più dalla sua politica riguardo all'unione europea. Che è stata riluttante. Proprio Kohl, suo maestro poi tradito, ha spesso accusato Frau Angela di scarsa visione strategica verso l'Europa. Ma soprattutto, e qui il discorso riguarda assai l'Italia: prima della crisi del Covid, ha dominato in Merkel una concezione asfittica della politica economica e finanziaria - rigidità, austerità, rigore da patto di Stabilità militarizzato nonostante le sofferenze di popoli come quello greco - mentre negli ultimi anni sotto il macigno asfissiante della pandemia la stessa Merkel ha dovuto aderire a un concetto più solidale della Ue, a un respiro più ampio e più libero dalle posizioni fuori tempo dei falchi del Nord. Di due Merkel si potrebbe parlare. Ma la Ur-angela - per parafrasare l'Ur-faust di Goethe - è quella che sopra ogni altra cosa ha pensato e ha agito in nome della supremazia incontrastata della Germania nel contesto continentale. Rischiando di essere, più che ingenerosa, miope. Anche ad occhi non appartenenti alla Ue: «Abbiamo avuto - ha detto il presidente turco Erdogan - un processo positivo con Merkel ma la gestione di maggior successo fra i cancellieri tedeschi è stata quella di Schroeder». Una stroncatura. Non riscontrabile nella politica italiana che, verso di lei, ha sempre avuto un timore reverenziale.
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Da quando è andata alla guida della Germania, Merkel ha visto passare ben otto premier in rappresentanza di dieci governi, tanti quanti i cancellieri tedeschi in settantadue anni: Prodi, due volte Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, due volte Conte e Draghi. L'italiano, quest'ultimo, che Merkel ha avuto il coraggio, a dispetto di corpose resistenze tedesche, di favorire alla presidenza della Bce. E lo stesso che ha molto contribuito, e non solo per la forza del loro rapporto personale («Non andiamo a mangiare la pizza insieme ma ci telefoniamo quando dobbiamo dirci qualcosa», parola di Draghi), a spingere la Merkel a un approccio più europeo e meno germanista che è quello che poi ha portato alla creazione del Recovery Fund.
IL RISPETTO
La cancelliera ha rispettato l'Italia - ma fa ancora indignare la risatina in tandem con Sarkozy contro Berlusconi al Consiglio europeo nel 2011 - «una linea d'ombra, tra lei e il nostro Paese, che la cancelliera non ha mai voluto varcare». Nonostante l'incanto vissuto nelle sue vacanze nella solita pensioncina di Ischia. Ha avuto un buon rapporto personale con Prodi che - non più da premier - l'ha vista cambiare in meglio di fronte alla pandemia. Rapporto complesso con Berlusconi. Non ci sono state solo le risatine e prima il cucù del Cavaliere e poi il fantomatico e inesistente «complotto» merkeliano per defenestrare Silvio da Palazzo Chigi (fu lo spread e non Angela), ma una interlocuzione necessaria e non contundente. «Berlusconi solo alla fine del suo mandato è diventato disastroso». E poi Monti, l'amore deluso con Renzi e le lodi a Gentiloni, il Conte bifronte (gialloverde e rossogiallo) con cui una volta è sbottata: «Ora basta, Giuseppe, non puoi accusare tutti di essere poco europei ogni volta che non ottieni quello che vuoi». Ora noi vogliamo dall'Europa una politica che non rispolveri l'anti-storico patto di stabilità sospeso nell'emergenza Covid. E la Germania post-Merkel potrà dimostrare, ma chissà, di essere davvero aderente ai tempi che corrono.
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