Caro Direttore, leggo molte lettere di lettori sull'ultima tornata referendaria, alcune pro ed alcune contro il quorum e/o l'appello di non votare ed altro ancora. Non ho letto una parola sul perché i promotori dei referendum, non modificarono quelle norme che con l'appello al voto popolare intendevano abrogare.
D'accordo che ogni momento ha la sua storia, ma se una cosa era sbagliata, come ora affermano, non andava modificata? E le occasioni non mancarono. Al Ministero del Lavoro dal 2016 al 2022 ci sono sempre stati esponenti dei due maggiori promotori e sostenitori dei referendum , il Pd ed M5S. Che però non fecero nulla per modificare quelle leggi. Su questa cosa il silenzio, come si usa dire, è assordante.
Claudio Gera
Lido di Venezia
La risposta del direttore del Gazzettino Roberto Papetti
Caro lettore, lei ha ragione. Ma nel dibattito sui risultati referendari e sul quorum mancato, c'è anche un altro dato politico che viene poco evidenziato: i grandi sconfitti di questa tornata elettorale sono stati innanzitutto la Cgil e il suo segretario generale Maurizio Landini. Che, come lei giustamente ricorda, hanno promosso i referendum su materie, quelle del lavoro che erano in larga parte un'eredità dei governi di centrosinistra o di ministri appartenenti a questa stessa area politica. Non è un caso, ovviamente. Perché per la Cgil questi referendum rappresentavano anche, e forse soprattutto, una prova di forza interna alla sinistra. Una sorta di resa dei conti tra le posizioni più radicali e quelle riformiste, per la quale Landini non ha avuto esitazioni a rompere l'unità sindacale.
L'assalto referendario al Jobs act aveva in questo senso un forte valore simbolico: era il tentativo di cancellare una delle leggi-bandiera del governo Renzi e, se fosse riuscito, di mettere un'ipoteca sulla futura leadership della sinistra. Elly Schlein ha scelto di affiancare la Cgil in questa battaglia e di schierare il Pd sulle posizioni radicali di Landini, non comprendendo che nel caso di un fallimento del referendum, lei, com'è puntualmente avvenuto, sarebbe apparsa come la principale sconfitta. Mentre se il referendum avesse avuto un risultato positivo o l'affluenza fosse stata più alta, i maggiori dividendi politici li avrebbe incassati Landini. Il quale in ogni caso, dopo i risultati del referendum, a un giornalista che gli chiedeva: «Pensa di dimettersi?», ha risposto: «Non ci penso nemmeno». Non avevamo dubbi.