"Bella ciao" inno ufficiale del 25 aprile? La proposta di una sinistra che si condanna a un ruolo minoritario

Mercoledì 9 Giugno 2021
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Caro Direttore,

fortunatamente viviamo in democrazia, e a nessun cittadino può essere impedito di cantare Bella Ciao quando vuole e dove vuole. Diverso è proporre con un progetto di legge che Bella Ciao diventi l'inno istituzionale del 25 aprile, da eseguire nelle cerimonie ufficiali subito dopo quello di Mameli. A parte che, secondo molti autorevoli ex partigiani fra cui il compianto Giorgio Bocca, Bella Ciao non fu mai un inno cantato dalle brigate combattenti, questa proposta del Pd e di altre forze della nostra gauche ha un po' il sapore di antifascismo da Ztl, di antifascismo da Inti Illimani. Quando si è a corto di proposta politica, viene comodo rifugiarsi su temi pseudo identitari, e con lo ius soli, le successioni, le porte aperte ai migranti, ci sta anche Bella ciao.

Ivana Gobbo

Cara lettrice,

è sorprendente come nel nostro Paese, in un momento come quello che stiamo vivendo, cercando e sperando di lasciarci alle spalle una delle crisi sanitarie e sociali più difficili dell'ultimo mezzo secolo, ci si possa dividere su un tema di questo tipo.

Una proposta di nessuna utilità, giacché nessuno impedisce a nessuno di intonare Bella ciao il 25 aprile come tutti gli altri giorni, lanciata con l'unico intento di mettere in difficoltà lo schieramento politico avversario. In realtà i principali nemici di Bella ciao sono proprio coloro che in questi anni l'hanno strumentalmente utilizzata come arma di lotta politica, appropriandosene ce trasformandola in un inno da scagliare contro i nemici. Oggi quegli stessi pretenderebbero di eleggere Bella ciao a canzone ufficiale di una giornata che dovrebbe e deve rappresentare la ritrovata libertà e la riconquista dell'unità democratica del Paese dopo gli anni bui e tragici del fascismo. In un Paese serio nessuno dedicherebbe più di qualche minuto a un tema del genere. Ma siamo in Italia e, come dice giustamente anche lei, dobbiamo anche fare i conti con una sinistra che, a corto di proposte o nella cronica difficoltà di elaborarne di nuove condivise, si rifugia stancamente nella rincorsa di fragili temi identitari. Senza capire che così facendo si condanna a un ruolo minoritario.

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