Col sottofondo wagneriano della Cavalcata delle Valchirie, e uno stormo di elicotteri ricolmi di giocatori in atterraggio sull’Arena di Milano, il calcio italiano e mondiale cambiò di colpo il 18 luglio 1986: era davvero l’Apocalisse, adesso, come suggeriva l’implicita citazione cinematografica, solo che a crederci davvero era solo Silvio Berlusconi. Anzi all’epoca ci furono ironie, per una squadra che si presentava in modo così spettacolare e inusitato, per giunta col volto televisivo, Cesare Cadeo di Canale 5, a intervistare i giocatori. Invece quel giorno nasceva il Milan di Berlusconi che avrebbe rivoluzionato il gioco, o forse l’avrebbe portato dove sarebbe finito prima o poi, perché alle leggi del mercato non si comanda: solo che Silvio l’aveva capito prima.
La prima, quella di mettersi al fianco Adriano Galliani, suo partner nelle aziende tv ma con un passato da dirigente del Monza: il binomio è rimasto indissolubile per tutta la vita. Il grande colpo fu ingaggiare Arrigo Sacchi, giovane allenatore del Parma che, per lo sconcerto dei conservatori, giocava addirittura “a zona” e all’attacco: una bestemmia per i soloni, secondo cui esisteva solo il calcio difensivo all’italiana. Fesserie, spazzate via dalla storia. Con Sacchi alla guida, e ingaggiando i due fuoriclasse olandesi Gullit e Van Basten, il Milan fece subito epoca: uno scudetto e due Coppe dei Campioni (la prima indimenticabile: 4-0 alla Steaua a Barcellona, nell’immenso stadio solo tifosi rossoneri) giocando all’attacco anche in trasferta, persino in casa del Real Madrid. Era calcio spettacolo, mai visto: le squadre italiane potevano divertire e vincere, anche se per 50 anni ci avevano garantito il contrario.
Quel Milan cambiò il gioco, provocò salti in avanti nella tattica e nella strategia. Dopo Sacchi, altra intuizione: Fabio Capello era uomo-Fininvest con un passato da grande giocatore, ma Berlusconi decise che doveva allenare il Milan, e azzeccò ancora. Arrivarono scudetti in serie e la Champions. Perché intanto la Coppa dei Campioni era andata a caccia di nuovi profitti diventando Champions League, anche qui sotto la spinta di Berlusconi. Uno scudetto con Zaccheroni nel 1999, poi l’intuizione nel 2001: Carlo Ancelotti, allenatore in disgrazia perché aveva fallito alla Juventus ma vecchio cuore Milan, va in panchina, e si apre un altro ciclo formidabile: scudetto e due Champions alzate dal capitano Paolo Maldini (suo padre Cesare vinse la prima del club nel 1963: una storia unica al mondo). Infine l’ennesima intuizione, Max Allegri, allenatore dell’ultimo scudetto berlusconiano nel 2011.
I RECORD
Il Milan di Sua Emittenza è stata la squadra più vincente al mondo, come aveva profetizzato lui nel 1986: in 31 anni 29 trofei. E il contributo in termini di popolarità e di prestigio del club alle fortune anche politiche di Berlusconi è stato sempre evidente, anzi era studiato e previsto anche quello. Negli ultimi anni, dopo aver ceduto il Milan nel 2016, altro colpo di coda, sempre con Galliani, portando il Monza dalla serie C alla prima serie A della sua storia. Questione di dna. In quello di Silvio Berlusconi, oltre a tutto il resto, c’erano ampie tracce di competenza calcistica, e di coraggio, che hanno segnato la storia del gioco. Anzi, come diceva lui: del “giuoco”.