Suviana, il superstite Nicholas salvo grazie alla maglietta: «L'ho usata come maschera antigas»

Il racconto del padre del custode dell'impianto di Bargi, sopravvissuto all'esplosione del 9 aprile

Giovedì 11 Aprile 2024 di Claudia Guasco
Strage Suviana, il superstite Nicholas salvo grazie alla maglietta: «L'ho usata come maschera antigas»

Davanti a casa di Nicholas c'è l'automedica che lo ha trasportato dall'ospedale di Cesena, dentro voci e chiacchiere. E un'atmosfera di sollievo per quel figlio che, tra i cinque feriti, è l'unico a riabbracciare la sua famiglia.

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Il fumo

Nicholas Bernardini, 25 anni, professione custode all’impianto di Bargi ma sempre pronto ad affiancare i colleghi nelle fasi operative, è un sopravvissuto all’esplosione.

Era al piano meno quattro quando è stato investito dalla deflagrazione che lo ha scaraventato a terra. Come ce l’abbia fatta lo ha raccontato al padre: «Al momento dell’esplosione mi sono coperto il naso e la bocca con la maglia, così non ho respirato il fumo». Ha ustioni sulle mani, ma a fare più male è il dolore per i compagni di squadra morti o che combattono in rianimazione. Tra loro c’è Leonardo Raffreddato, 42 anni, di Camugnano, paese nei pressi della centrale. Ha ustioni sull’80% del corpo, è sedato, la madre lo ha visto solo per pochi secondi. È sposato da poco e la moglie, raccontano gli amici, è disperata: «La fiammata lo ha colpito in pieno, gli ha bruciato le braccia e il torace. È devastato», le sue parole. Gravissimo anche un collega di 59 anni, con ustioni di livello due e tre sul 40% del corpo, mentre Jonathan Andrisano, 35 anni, è in terapia intensiva al Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

«È in prognosi riservata ma in condizioni di stabilità clinica», il bollettino medico del professor Tommaso Tonetti. «Preoccupa il quadro respiratorio, è stato intubato sul posto, lo stiamo mantenendo intubato e ventilato meccanicamente». Solo loro, unitamente alle perizie e alle indagini tecniche, potranno ricostruire ciò che è accaduto a sessanta metri di profondità. Per ora il racconto che fa uno dei superstiti è asciutto, essenziale e scevro da interpretazioni. «Ho visto la fiammata e poi il fumo, ho sentito lo scoppio. Io tutto bene, ma purtroppo è successo questo», ha riferito Pierfrancesco Firenze alla moglie, Emilia Ferdighini, accorsa sull'Appennino bolognese. «Mio marito e era fuori con altri due suoi colleghi. Hanno visto questa fiammata e poi il fumo, ha sentito uno scoppio. Era un po’ sotto choc, si conoscono tutti qui». Firenze, spezzino come la famiglia, vive nella casa dell’Enel in cima alla diga di Suviana. «Non capivo cosa fosse successo - ha spiegato la moglie - L’ho appreso dal telegiornale. Sapendo che lui è qua ero spaventata». Frasi che disegnano uno scenario inimmaginabile, fino a pochi giorni fa. «Ho lavorato qui 15 anni - riflette Gabriele Cattani, ex dipendente della centrale accorso per avere notizie degli ex colleghi - Abbiamo sempre lavorato tenendo conto della sicurezza, sempre. È una centrale a pozzo: la sicurezza è tutto».

Supervisione

Lo sa bene Diego Ottonello, operaio di 45 anni da due anni dipendente dell’azienda Engineering automation srl, con sede a Mele in provincia di Genova, per la quale lavoravano le vittime. «C’ero stato anche io nel sottosuolo dell’impianto. Andavamo sempre con il nostro titolare, Mario Pisani, che ci spiegava come operare. I miei colleghi sapevano cosa fare, non escludo ci sia stato qualche altro problema. Loro erano andati là per effettuare una supervisione a un intervento già effettuato da altri. Non dovevano neanche trovarsi in quel posto. Erano brave persone, grandi lavoratori».

Ultimo aggiornamento: 14:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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