Strage di Erba, le tre prove che possono ribaltare la sentenza. La confessione, il testimone e l'auto: ecco cosa non torna

Domani a Brescia l'udienza di revisione davanti ai giudici della seconda corte d'Appello

Giovedì 29 Febbraio 2024 di Mario Landi
Strage di Erba, le tre prove che possono ribaltare la sentenza. La confessione, il testimone e l'auto: ecco cosa non torna

Testimone oculare, prova scientifica e confessioni. Sono queste le prove della discordia sulla strage di Erba su cui la procura generale di Brescia e le difese di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva all'ergastolo, dibatteranno in aula davanti ai giudici della seconda sezione penale della corte d'Appello di Brescia.

A rappresentare l'accusa sarà il procuratore generale Guido Rispoli e l'avvocato dello Stato Domenico Chiaro, sulla stessa linea gli avvocati di parte civile Massimo Campa e Daniela Spandri per i fratelli Giuseppe e Pietro Castagna, il legale Adamo De Rinaldis per Elena e Andrea Frigerio, contrari a qualsiasi riapertura. Opposta la posizione del pool difensivo Romano (Fabio Schembri e Nico D'Ascola per Olindo, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello per Rosa) “sostenuti a sorpresa dal sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser (il primo a depositare la richiesta di revisione) e da Azouz Marzouk (legale Solange Marchignoli).

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La ricostruzione

A quasi 18 anni dai fatti è il primo, difficile, tentativo di revisione su quanto accaduto nella corte di via Diaz quando in circa 20 minuti, a partire dalle ore 20, con armi mai trovate - si scriverà di spranga e coltello poi gettati in un cassonetto - vengono uccisi con ferocia Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk di soli 2 anni, la nonna del piccolo Paola Galli e una vicina di casa Valeria Cherubini, accorsa dopo le fiamme divampate in via Diaz. Si salverà, solo per caso il marito Mario Frigerio, gravemente ferito alla carotide e unico testimone oculare della strage legata a contrasti di vicinato. Da subito l'attenzione dei carabinieri si focalizza sui coniugi Romano.

 

La sentenza

Contro di loro c'è la macchia di sangue trovata il 26 dicembre sull'auto di Olindo, Frigerio che dal letto d'ospedale riconosce in Olindo il suo aggressore, non convince l'alibi dello scontrino di un McDonald's del centro. L'8 gennaio del 2008 vengono fermati, due giorni dopo diranno «Siamo stati noi», assumendosi la responsabilità della mattanza. Caso chiuso a leggere le sentenze che a quelle tre prove dedicano decine di pagine - ben 70 per le confessioni, 23 per il riconoscimento e 21 per la macchia di sangue - e che la difesa prova a smontare nella richiesta di revisione.

 

Il riconoscimento

Mario Frigerio era l'unico sopravvissuto e il solo testimone oculare della strage. È morto il 16 settembre del 2014 per una malattia, dopo aver visto la condanna di Olindo e Rosa Bazzi e senza mai dimenticare l'orrore e la brutalità di quella sera. Ricoverato in rianimazione all'ospedale Sant'Anna di Como, solo a circa 86 ore dai fatti - può essere ascoltato. Dal 15 al 26 dicembre del 2006 viene sentito otto volte: prima riferisce di un killer sconosciuto con la pelle olivastra, dal 2 gennaio parla di Olindo come del suo aggressore. In aula, a Como, punta il dito contro i due imputati, ma le lesioni riportate e in particolar modo «l'intossicazione da monossido di carbonio» per la difesa - che riporta la tesi di 12 professori universitari di livello internazionale - «hanno determinato il decadimento di funzioni cognitive importanti, come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare e della capacità di orientamento».

 

La difesa

La difesa lamenta «la mancanza di circa il 60% delle audio registrazioni» e insiste su un punto: le dichiarazioni dopo il 15 dicembre «sono da considerarsi non idonee in quanto esito di centinaia di domande suggestive che oggi sappiamo essere in grado di provocare alterazioni del ricordo, e che hanno attecchito facilmente nel testimone in una condizione di vulnerabilità psichica» che ha determinato la creazione di una «falsa memoria in merito a Olindo Romano quale aggressore». Di avviso opposto la procura generale che segue le motivazioni delle condanne in cui non vengono taciute le difficoltà iniziale di Frigerio ma le si ricollegano «non tanto nel fare affiorare il ricordo momentaneamente offuscato a causa del trauma, quanto la sua difficoltà a credere che ad inveire su di lui fosse stato Romano, suo vicino di casa che riteneva persona per bene e che dichiarava di aver riconosciuto distintamente nel momento in cui aprì la porta di casa Castagna, tanto da essersi chiesto cosa ci facesse in quel luogo» scrivono i giudici della Cassazione. E la «dolorosa fermezza» con cui ripete quel nome non fanno dubitare della «credibilità» del ricordo.

 

La confessione

Le dichiarazioni dei due indagati. Le confessioni non sono una prova regina perché sono «false», infarcite di «errori» e «discrepanze» è il responso del pool di 12 esperti alla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi. «La confessione dell'innocente è - contrariamente a quello che si può ritenere - un evento relativamente frequente», e «analizzando il contenuto delle confessioni della coppia emergono come «risultano piene di errori, molti elementi della scena del crimine vengono sbagliati (tra il 50 e il 70%)». L'analisi mostra come le versioni «non siano dettagliate, non siano sovrapponibili, non siano combacianti, non siano coerenti e non siano costanti e dunque abbiano tutte le caratteristiche delle false confessioni». Olindo colleziona «centinaia fra non lo so, non mi ricordo, mi sembra, questo adesso mi sfugge”», lo stesso si può dire per Rosa. «Quelle che vengono definite confessioni sono, in realtà, una serie di 'sì' a suggerimenti sotto forma di domande chiuse» che nulla aggiungono rispetto a dettagli noti. E si definisce »incontrovertibilmente falsa« anche la narrazione sulla dinamica dell'omicidio della vicina di casa Valeria Cherubini.

 

L'accusa

Opposta la tesi della procura generale di Brescia. «Incontrovertibilmente falsa» è la narrazione sulla dinamica dell'omicidio della vicina di casa Valeria Cherubini. Opposta la posizione della procura generale. Le confessioni sono »dettagliate« fino alla descrizione «di ogni minimo e più atroce particolare» sono «spontanee, coerenti, e non indotte da suggerimenti od altro, ritrattate senza alcuna ragione o prova convincente, se non una scelta difensiva diversa», e «non certo frutto di pressioni» si legge nelle motivazioni della Cassazione. In ben 11 documenti manoscritti e in una lettera, Olindo rende ulteriori ammissioni e il suo acredine contro la famiglia Castagna-Marzouk emerge sulla Bibbia. Viene ritenuta veritiera dalla procura generale la scena registrata in cui Rosa mima il modo in cui ha accoltellato alla gola il piccolo Youssef, così come le parole «più colpivo e più mi sentivo forte».

 

La macchia di sangue

La traccia della vittima Valeria Cherubini trovata sul battitacco dell'auto di Olindo avrebbe una genesi sospetta, a dire della difesa dei coniugi Romano. L'auto viene visionata due volte. La prima a poche ore dalla strage, poi la sera del 26 dicembre sempre dai carabinieri. Le operazioni di ispezione, repertazione e verbalizzazione avvengono con tempi e modalità ritenute non trasparenti e con sospetta superficialità, malgrado la possibile rilevanza nell'indagine sul quadruplice omicidio. Una prova che per il sostituto pg di Milano Tarfusser «trasuda criticità» e che mostra l'abilità della coppia «di essere riusciti a non lasciare alcuna loro traccia sul luogo dove hanno scatenato una sfrenata rabbia lasciando un bagno di sangue e di essere riusciti non 'portarè alcuna traccia del crimine appena commesso» nella loro casa.

 

L'incendio

Chi domani rappresenterà la pubblica accusa, invece, si rifà ai giudici di merito, e di fronte a una traccia «di alta qualità» esclude che possa aver subito «tanti passaggi» tanto più che macchie di sangue nel cortile non ne furono trovate a causa dell'incendio «che ha reso vano ogni tentativo di rinvenire orme, impronte, tracce di sangue, a partire dall'ingresso della palazzina del ghiaccio verso l'esterno, giungendo a ritenere del tutto plausibilmente che la traccia tanto nitida sul battitacco dell'auto fu molto verosimilmente trasportata in stretta concomitanza temporale con l'eccidio e fu, altrettanto verosimilmente, di diretta derivazione dalla scena del delitto». Seppure la Cassazione ravvisa «la cattiva gestione della verbalizzazione dei carabinieri» non è sufficiente a mettere in dubbio il valore di prova della traccia di sangue trovata sulla Seat Arosa.

Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 15:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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